Il mistero del Bacco ebbro, a Firenze il 28 ottobre incontro alla scoperta dell’arte di Michelangelo

il 27/10/2014 - Redazione

Si parlerà de “Il Bacco ebbro del Bargello”con Beatrice Paolozzi Strozzi nel sesto appuntamento del ciclo di Conferenze “Michelangelo. Il cantiere fiorentino” organizzato dall’Opera di Santa Maria del Fiore in occasione del 450esimo anniversario della morte del grande artista. Martedì 28 ottobre a Firenze è in programma la conferenza ad ingresso gratuito e senza prenotazione (ore 17 - Centro Arte e Cultura dell’Opera di Santa Maria del Fiore).

Il dio protettore del teatro dal significato ambiguo -
Fra le opere giovanili di Michelangelo, il Bacco del Bargello - scolpito a Roma fra il 1496 e il 1497 - è forse la più misteriosa e certamente, ad oggi, tra le più dibattute. A lungo in passato, seguendo l’autorità delle fonti (soprattutto di Ascanio Condivi, biografo “ufficiale” del Buonarroti), la statua è stata ritenuta una geniale contraffazione dell’antico, quasi un séguito del perduto Cupido dormiente, che Michelangelo aveva eseguito l’anno prima, qui spinta a più ardite ambizioni per le dimensioni dell’opera (che col piedistallo supera i due metri d’altezza) e per certe caratteristiche formali che lascerebbero intuire lo spirito comunque innovatore del giovane artista: in particolare, nello sbilanciamento della figura a simulare l’ubriachezza; e nell’espressione vacua e assente dello sguardo, che la rimarca. Entrambe, caratteristiche ignote alla statuaria antica che Michelangelo avrebbe introdotto per chiarire il significato morale dell’opera, ovvero la condanna del vizio e dell’intemperanza. Negli ultimi cinquant’anni, molti studiosi hanno allargato il campo dell’indagine e preso in considerazione non solo gli aspetti formali e i dettagli iconografici della scultura, ma anche il contesto culturale in cui fu realizzata e il suo possibile significato, tenendo conto della formazione umanistica del Buonarroti nella cerchia neoplatonica laurenziana (a diretto contatto con Ficino, Pico, Poliziano) e della possibile influenza di Pomponio Leto e della sua “Accademia romana”, allora in stretto rapporto con il committente dell’opera: il cardinale Raffaello Riario, nipote di papa Sisto IV e grande collezionista di antichità. Nel suo progetto di ridar vita al teatro antico secondo i principi della renovatio albertiana, ricreandone gli spazi nella sua dimora (ovvero in quello che sarà poi il Palazzo della Cancelleria), il Bacco “moderno” di Michelangelo avrebbe dovuto rappresentare il dio protettore del teatro in un luogo bene in vista del vasto cortile porticato, in cui si sarebbero svolte le rappresentazioni. Ciò tuttavia non spiega di per sé tutto il significato dell’opera e il possibile messaggio filosofico che essa sottintende attraverso la novità della sua concezione e della sua stessa ambiguità. Un giovane molle, ebbro e barcollante, simbolo pagano di intemperanza e rovina (stando alla lettura moralistica del Condivi e del Vasari, ma anche di molti commentatori moderni); o invece una creatura di olimpica bellezza, còlto nel momento in cui si spoglia dalla materialità terrena per raggiungere, con l’ebbrezza, l’estasi e la cognizione del divino?

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