La prima cosa che mi colpisce di lui sono i capelli: tanti, ricci, un po’ da matto. Poi la mia attenzione si sofferma sugli occhi vivaci e attenti, per ricadere sulle mani da musicista che muove mentre parla. Incontro Simone Cristicchi nel camerino del Teatro dei Rozzi. Sta per andare in scena insieme a Emiliano Terreni e Tommaso Taddei con il reading teatrale “Lettere da un manicomio”, realizzato insieme alla compagnia Gogmagog e inserito all’interno della rassegna “sPAZZI” organizzata dal Collettivo di Antropologia dell’Università di Siena. E più lo guardo, più canticchio mentalmente la canzone con cui ha vinto Sanremo nel 2007, “Ti regalerò una rosa”, pensando a quanto quelle parole semplici esprimano il tema della cosiddetta follia: I matti sono punti di domanda senza frase, migliaia di astronavi che non tornano alla base. Sono dei pupazzi stesi ad asciugare al sole; i matti sono apostoli di un Dio che non li vuole. La prima domanda nasce di getto.
Simone, ti senti un po’ folle? - Ride. “Diciamo che sento di possedere una personalità artistica variegata, eclettica, che si lascia appassionare facilmente, si innamora spesso. Il mio percorso artistico è fatto di deragliamenti positivi dall’iter della discografia tradizionale. Non mi limito a preparare dischi e promuoverli attraverso i concerti. Per me è un grande stimolo cercare di guardare oltre, migliorarmi, imparare sempre cose nuove. Ora è il momento del teatro e imparo a farlo giorno per giorno, andando in scena”.
In un certo senso sfati il luogo comune per cui ogni artista è un po’ pazzo… - “Mah sì, credo che i più grandi artisti della storia siano state persone razionali e rigorose, che hanno dedicato un grande sforzo per realizzare la propria opera. Esistono pochi casi di artisti matti ma è bello pensare che sia così. Del resto esiste il matto artista così come esiste l’uomo artista. C’è il matto che ti rivela qualcosa di magnifico a cui non avevi pensato ed esiste il matto che non proferisce parola e vive isolato nel suo silenzio. Questo ci porta ad avvicinarci alla malattia mentale e a capire che in fin dei conti è talmente vicina da farci paura o ci fa paura proprio perché non è così lontana come preferiamo pensare”.
Cosa è per te la normalità e di conseguenza la pazzia? - “Nonostante abbia approfondito molto l’argomento, non mi sento di dare una risposta a questa domanda. Posso dire che la follia viene spesso scambiata per qualcosa di metaforico su cui si sono fatti studi e approfondimenti, anche filosofici. In realtà il mondo che ho conosciuto è molto più concreto e riguarda la malattia mentale. Non confondo mai le due cose anche se piace a tutti pensare che il folle sia una persona speciale; è un tranello in cui cadiamo tutti molto spesso. La verità è che il matto è una persona come noi e forse è proprio questo che ce lo rende così difficile da comprendere e nello stesso tempo così vicino, uno specchio delle nostre fragilità”.
Da cosa è nata l’idea di realizzare lo spettacolo teatrale “Lettere da un manicomio”? - “Lo spettacolo è nato dall’incontro con la compagnia Gogmagog di Scandicci che, basandosi sulle lettere degli internati nel manicomio di Volterra, ha prodotto uno spettacolo teatrale sperimentale dando voce ai matti reclusi e alle loro storie. Io avevo invece scelto di raccontare il manicomio di oggi, chiamato centro di igiene mentale, parlando dei personaggi che ho conosciuto durante la mia breve esperienza come volontario nel Centro di Igiene Mentale di Roma. L’unione di questi due spettacoli ha portato a “Lettere da un manicomio”. Per quanto mi riguarda è stato decisivo entrare nei centri di diagnosi e cura, nelle cliniche private, nelle case protette. Avevo un amico che soffriva di disturbi psichici e ciclicamente veniva ricoverato in questi posti. Andandolo a trovare ho scoperto per la prima volta questa sorta di realtà parallela che mi ha affascinato a tal punto che, con grande disappunto di mia madre, preferivo trascorrere più tempo con i “matti” piuttosto che con le persone fuori. Riuscivo ad affezionarmi molto velocemente e questa cosa mi aveva stupito. Ognuno di loro aveva un mondo interiore dentro il quale mi piaceva affacciarmi per scrutarli meglio e cercare di capire la vita precedente nascosta dietro la malattia. Questa esperienza è andata a finire nei primi monologhi che proponevo in occasione dei concerti nei piccoli locali a Roma dove, tra una canzone e l’altra, parlavo delle persone che avevo conosciuto rendendole partecipi, per così dire, dei miei spettacoli”.
Pensi che il tema della follia possa ancora dare tanto, in ambito letterario e non? - “Lo spettacolo altro non è che una metafora della chiusura, dello stigma, del muro mentale che ci divide da queste persone “non normali”. Ecco perché quello su cui punto da anni è l’importanza del ricordo. Insieme alla compagnia Gogmagog, ho recuperato e messo in scena le lettere originali degli internati negli ospedali psichiatrici dal 1901 fino agli anni ’70, dando voce e importanza alle loro parole e facendo capire cosa è stato realmente il manicomio. Il lavoro che portiamo avanti sulla memoria è importante anche e soprattutto a livello pedagogico per le nuove generazioni. Grazie alla Legge 180, meglio nota come Legge Basaglia, in Italia sono stati chiusi i manicomi ma non è detto che le barbarie non esistano più in quei luoghi chiusi dove non è possibile entrare, come le cliniche private. Ecco perché credo sia importante far capire cosa è stato per impedire che si ripetano certi errori”.
“Ti regalerò una rosa” può essere considerata come una canzone che denuncia la superficialità con cui il più delle volte si guarda alla follia? - “La canzone è in realtà nata in 40 minuti. L’ho scritta perché mi serviva una colonna sonora per il mio documentario girato negli ex manicomi italiani, tra cui anche a Siena. Comunque in un certo senso sì, una denuncia c’è. La canzone può essere considerata come una lettera aperta spedita alla società in cui esprimo il senso di solitudine dei matti - La mia patologia è che son rimasto solo…ora prendete un telescopio, misurate le distanze. E guardate tra me e voi…chi è più pericoloso? - e riverso tutto quello che ho vissuto entrando in contatto con i “folli”, compreso l’episodio della rosa che mi è stato raccontato da un’infermiera dell’ex ospedale psichiatrico di Volterra: un paziente si presentava tutti i giorni con una rosa, trovata chissà dove, e faceva in modo di fargliela trovare oppure gliela regalava direttamente. Il pezzo finale – Ti lascio questa lettera, adesso devo andare; perdona la calligrafia da prima elementare. E ti stupisci che io provi ancora un’emozione? Sorprenditi di nuovo perché Antonio sa volare – rende bene, secondo me, quel senso di libertà dall’ottusità della gente che non va oltre il muro che li divide dai “matti”. Solo volando via, infatti, Antonio recupera la sua dignità di essere umano”.
Nel 2007 hai scritto “Centro di igiene mentale. Un cantastorie tra i matti”. Ti sei ispirato a qualche libro che secondo te più di altri ha espresso il tema della follia? - “Un libro in particolare c’è. Si tratta di “Scene da un manicomio. Storia e storie del Santa Maria della Pietà” di Bruno Tagliacozzi e Adriano Pallotta che raccontano com’era la vita all’interno di un’istituzione totalizzante e violenta come il Santa Maria della Pietà di Roma, il più grande manicomio d’Europa. Mi ha emozionato anche “L’altra verità. Diario di una diversa” di Alda Merini, il racconto dei suoi 10 anni in manicomio, un sostantivo che racchiude in sé una serie infinita di attimi colmi di sofferenza e dolore. Ho imparato molto poi dai libri dello psichiatra Franco Basaglia di cui, in particolare, mi piace una frase: La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla”.
SOTTO TORCHIO
LIBRO E AUTORE PREFERITO
“Il privilegio di essere un guru” di Lorenzo Licalzi
L’ULTIMO LIBRO LETTO
“Canale Mussolini” di Antonio Pennacchi
IL LIBRO DA CONSIGLIARE AI LETTORI
“Il bar sotto il mare” di Stefano Benni
LEGGERE E’… Migliorarsi
COMMENTI
NOME:Sandy
EMAIL:adenoide82@virgilio.it
NOTE:Complimenti! Intervista davvero interessante... Grande Simone e grande Simona
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