Il fascino delle parole (in)comprese. Leggere e scrivere un anno con Sienalibri

il 07/12/2009 - Redazione

Ho imparato a leggere e a scrivere in prima elementare. Mai frase, seppur densa di verità nel ciclico apprendimento scolastico, è invece falsa nell’affascinante (in)comprensione del mondo delle parole. Che siano quelle già scritte da altri o che siano quelle in mente da scrivere, le parole hanno proprio la grazia di una totale mancanza didattica nel loro senso, compiuto e da compiere, e nel loro concatenarsi di significati. E che non risieda proprio in questo aspetto il fascino intramontabile della letteratura, della lettura e della scrittura? E’ una domanda che ci siamo posti più volte in oltre un anno di interviste, editoriali, articoli che, con sienalibri, abbiamo redatto per la pagina domenicale di questo quotidiano. Ma è una domanda alla quale non abbiamo mai voluto trovare risposta. Abbiamo casomai provato a prendere spunto (ispirazione?) da questa domanda prima di porre qualsiasi quesito all’intervistato, prima di approfondire un tema, prima di raccontare un racconto, prima di emozionarsi dietro un’emozione altrui, prima di lasciarsi andare a qualsiasi pensiero, prima di farsi trasportare dall’immaginazione. Prima, insomma, di immergerci nell’affascinante mondo delle parole. Un mondo talvolta talmente conosciuto ed esplorato che si ha quasi la percezione di perdere il sapore di esplorarlo. Falso. Basta invece un attimo per perdersi. Una sensazione che poi, quasi per assurdo, ti lascia solo il silenzio. Thomas Mann in un aforisma affermò che “lo scrittore è un uomo che più di chiunque altro ha difficoltà a scrivere”, mentre Marcel Proust scrisse che “ogni lettore, quando legge, legge se stesso” (Il tempo ritrovato). Insomma, nessuno può avere la presunzione di imparare a leggere e scrivere. O meglio, nel momento in cui si pensa di aver imparato, in quel preciso istante, si è perso di vista il fascino delle parole. “Monsignore, posso sapere che state leggendo?”. Questo chiede Polonio, ciambellano del regno di Danimarca, ad Amleto nel secondo atto della celebre opera di Shakespeare. “Parole, parole, parole”. Questo risponde Amleto nella Sua follia. Lucida follia, quella di Amleto, attorno alla quale non è pensabile nessuna assurda pretesa di un timido accostamento. A quella follia casomai il riconoscimento del merito di racchiudere nella parola “parole” il solo significato delle parole. Resta però un’altra assurda pretesa, quella sì, di non avere ancora imparato a leggere e a scrivere…per rimanere ancora senza parole di fronte al fascino delle parole.

Cristian Lamorte

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