A metà del secolo chissà se ci sarà un altro Arthur Miller capace di raccontare drammi, travagli e piccole miserie delle vite di chi ha affrontato la crisi del 2007, proprio come fece il grande drammaturgo rileggendo, a quarant’anni di distanza, le traiettorie umane segnate dal crollo di Wall Street e della crisi economica del 1929. Le grandi crisi sono spartiacque non solo economici, ma esistenziali. Vicende con le quali oggi siamo alle prese quotidianamente nel nostro vissuto e che Arthur Miller ha messo a nudo e cristallizzato nel corso di quella che fino a pochi anni fa era definita per antonomasia “la Grande Crisi”. “Il prezzo”, rappresentato in prima toscana al Teatro Manzoni a Pistoia, è l’anatomia e la dissezione di vite travolte e stravolte dalla crisi, o forse di vite per la quali la crisi dal 1929 è stata la molla per orientare drammaticamente il proprio vissuto intessuto comunque di un desolante deserto esistenziale.
Lo spettacolo - Tutto ha un prezzo e tutto gira attorno a un prezzo. Tanto per cominciare, il prezzo di una catasta di mobilia che un anziano mercante, interpretato da Umberto Orsini, vuol acquistare per una manciata di dollari, offrendo un ritratto dell’anima jewish di New York, di chi alla crisi è sopravvissuto con scaltrezza e cinismo. Il prezzo di una vicinanza da riconquistare, a suon di dollari, tentando di riallacciare i rapporti con il fratello perduto; ossia la narrazione di chi alla crisi è sopravvissuto solo contando su se stesso e solo lavorando per se stesso, come se l’affermazione professionale e sociale risarcisse di legami, affetti e umanità purdute. Il prezzo del riscatto ambito, sognato e poi sfumato di una moglie che oscilla tra abbandono e voglia di rivincita, tra alcolismo e sogno di una vita diversa. E poi, grazie a Massimo Popolizio, il prezzo della vittima, del figlio che si è immolato, o forse che ha voluto immolarsi, nell’assistenza del vecchio padre, che a questa missione ha sacrificato tutto e che a questo suo ruolo non intende venir meno, neppure quando un cospicuo risarcimento, prezzo del suo perdono, potrebbe riscattarlo da una vita di mediocrità. In una stanza spoglia e desolata di un palazzo in via di demolizione, nell’antica casa di famiglia, Massimo Popolizio e Umberto Orsini, insieme a Alvia Reale e Elia Schilton, estraggono dalla catasta di mobili ammucchiati in un angolo ricordi, rancori, frammenti di vita, dialoghi dimenticati, invidie, superbie e vecchie e nuove furbizie. La solidità del duo Orsini-Popolizio è granitica ed è capace di trasformare, grazie anche a Alvia Reale e Elia Schilton, il rovello cerebrale dei protagonisti in un raffinato gioco intellettuale che costruisce e distrugge, ricostruendola continuamente da opposto punto di vista, una vicenda umana in apparenza banale.
Info - Dopo la prima toscana a Pistoia i prossimi appuntamenti saranno: dal 19 gennaio alla Pergola di Firenze, il 16 marzo al Teatro Era di Pontedera e dal 18 marzo al Teatro del Giglio di Lucca.
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