“Quant'è bella giovinezza / che si fugge tuttavia! /chi vuol esser lieto, sia: / di doman non c’è certezza” ci dice Lorenzo il Magnifico nel passo più celebre del suo “Trionfo di Bacco ed Arianna”, componimento poetico facente parte dei Canti Carnascialeschi (di Carnevale) fiorentini del Quattrocento. Una festa – il Carnevale – che rappresenta un “addio” ai piaceri della carne e del mangiar carne, in vista dei prossimi 40 giorni della Quaresima. Una festa all’insegna della libertà e del rovesciamento delle convenzioni, ma anche una festa con un grande significato apotropaico (che allontana il male): per molti studiosi le maschere non sarebbero altro che un modo per scacciare ed esorcizzare l’inverno e i suoi disagi, stagione che appunto vede la sua conclusione poco dopo il Carnevale.
La maschera – che etimologicamente sembra essere connessa al latino medievale “masca” cioè strega, spirito – era forse anche un modo per rappresentare il mondo dei morti e delle anime, in quel dualismo vita-morte che da sempre caratterizza l’esistenza umana e che trova una propria rappresentazione nel passaggio dall’inverno, inteso come morte della natura, alla primavera, vista invece come la sua rinascita. E parlare di Carnevale vuol dire anche parlare di letteratura e teatro: non a caso molte delle nostre maschere più celebri (Arlecchino, Brighella, Colombina) sono maschere della Commedia dell’Arte, un genere nato in Italia nel XVI secolo, rimasto popolare sino al XVIII, e del quale si sente parlare per la prima volta nel 1750 in una commedia di Carlo Goldoni. Arlecchino sarebbe una maschera legata ad un antico demone della terra e della ritualità agricola, del quale si troverebbe una eco anche nell’Inferno dantesco. Pulcinella, la più celebre maschera napoletana che vede la sua origine nel Cinquecento, sembra essere invece una diretta discendente del Maccus latino: il ghiottone sciocco della commedia così detta Atellana.
La parola Carnevale ci rimanda poi, inevitabilmente, anche ad alcune città: Venezia e Rio de Janeiro su tutte. Due realtà geografiche lontanissime tra loro ma accomunate dalla medesima passione per questa tradizione popolare. A Venezia si ha notizia del Carnevale sin dalla fine del XI secolo, quando all’epoca della Serenissima i festeggiamenti iniziavano addirittura il 26 dicembre. Il Carnevale di Rio invece, ben più giovane e recente, risalente ai primi anni dell’Ottocento, è il simbolo mondiale della magnificenza e della ricchezza dei festeggiamenti. Un evento atteso tutto l’anno dalle varie scuole di Samba che hanno così l’occasione di sfoggiare i loro costumi e la loro abilità innata di ballerini. Altrettanto colorato e brioso è il Carnevale di New Orleans in Louisiana, del quale sono attestati i primi festeggiamenti già dalla metà del Settecento. Fino al 1972 le grandi sfilate di Carnevale venivano realizzate nel piccolo e suggestivo quartiero francese, nella zona vecchia della città. Dopo tale data, per motivi di sicurezza, le sfilate vengono organizzate fuori dal quartiere vecchio, in particolare sul Canal Street: una zona decisamente più ampia e sicura.
Passando infine dalle americhe alla Toscana, non possiamo dimenticare il Carnevale di Viareggio: una tradizione che nasce negli anni settanta del XIX secolo, quando un gruppo di ricchi borghesi decise di mascherarsi in segno di protesta contro le troppe tasse che erano costretti a pagare. Simbolo del Carnevale di Viareggio è il Burlamacco: una sorta di Arlecchino il cui nome è connesso alla parola “burla” e partorito, nel 1930, dalla brillante fantasia del pittore futurista Umberto Bonetti.
Duccio Rossi
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