Il viaggio di un pomeriggio e di una notte nella mente e nell’anima violata di una donna che ripercorre le vicende della sua vita per ritrovare se stessa. Può essere sintetizzato con queste poche parole il libro di Giusi D’Urso Il bene tolto (Felici Editore), un racconto che parla della violenza sulle donne senza concessioni patetiche, per offrire un punto di vista sommesso e privo di pregiudizi su un argomento sempre più alla ribalta delle cronache. La penna dell’autrice – scrive nella postfazione la poetessa calabrese Adelaide Cantafio – racconta un grido trattenuto, una realtà opaca, una cronaca coraggiosa con la giusta dose di respiro e dolore e, nell’intrecciarsi a luoghi, persone e sentimenti, si arricchisce di strumenti nuovi che sanno parlare e ridestare la parte più profonda e intima nascosta in ciascuno di noi. La storia è fatta di ricordi e suggestioni; le parole corrono sul filo della memoria e si intrecciano al presente per ricomporre, sensazione dopo sensazione, un complicato rompicapo. La protagonista - a cui la D’Urso non ha attribuito un nome perché potrebbe essere una qualunque donna di una qualunque città – è una sorta di antieroina alla ricerca della sua identità perduta e del suo bene tolto, la parte più preziosa che ognuno conserva dentro di sé, ciò che di buono ci hanno insegnato e che assicura la sopravvivenza. Solo questo percorso a ritroso dentro se stessa la farà rinascere e le farà ritrovare il bene, perduto non solo a causa dello stupro subito ma anche per una serie di piccole grandi violenze che hanno segnato la sua vita. È singolare, a questo proposito, che il racconto parli costantemente di uomini che non sono mai colpevoli; semmai sono assenti, si dileguano di fronte alle scelte importanti della vita e non accompagnano la protagonista nel suo viaggio interiore. L’unico modo per lenire il dolore provocato dalla loro assenza è il ricordo dell’indiscutibile diversità tra uomo e donna; una diversità ben evidente anche nell’approccio alla scrittura. Scrive nella prefazione la politica, giornalista e scrittrice Luciana Castellina: Le donne scrivono più degli uomini perché sanno guardare dentro se stesse, interrogare il cuore e i sensi, senza pudori e mistificazioni (…). La loro scrittura è diversa da quella dei maschi perché il soggetto che scrive è diverso, ha uno sguardo diverso sul mondo, di cui scopre una faccia che era restata sempre nell’ombra. (…) Mai un uomo avrebbe potuto scavare su se stesso con tanta acutezza, affrontando senza dramma il dolore che il ricordo impone, rintracciando con tanta amara lucidità i momenti che hanno deciso la vita successiva, senza individuare responsabili per le proprie sconfitte ma anzi assumendosi tutto il carico della propria pena di vivere.
Simona Trevisi
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