“I lettori sono come i panda, vanno difesi prima che si estinguano”. Parla la scrittrice Francesca Duranti

il 13/10/2011 - Redazione

Se è vero, come molti sostengono, che la scrittura è terapia, Francesca Duranti è un bell’esempio da evidenziare. Ha iniziato a confrontarsi con la narrativa intorno ai quaranta anni, spinta – come lei stessa ammette – da una esigenza di auto analisi. Originaria di Genova, Duranti vive fra la campagna di Lucca e New York. I suoi romanzi sono stati tradotti in diciotto lingue e la sua ultima “fatica” è stata pubblicata da Nottetempo.

“Il diavolo alle calcagna” è ambientato fra Milano, New York e la Versilia: perché questa scelta?
“Perché Milano e New York sono due città dove ho vissuto e dove vado spesso; in Versilia era nato uno dei personaggi che ho trasposto nel libro. Molto liberamente, beninteso: gli ho persino cambiato di sesso”.
In che modo la vita in Toscana influenza la sua creatività?
“Mi influenza nei paesaggi, nei rapporti umani, nei ritmi di vita”
E’ presidente della “Società Lucchese dei lettori”, eppure si dice che in Italia scarseggino proprio loro, quelli che i libri li comprano e li leggono…
“Sono come i panda: vanno difesi prima che si estinguano del tutto”.
Si potrebbe definire “Il diavolo alle calcagna” un romanzo sulla solitudine?
“Non direi. Piuttosto sull’anima o, laicamente , sull’identità che oggi troppo spesso, per stare meglio, sottoponiamo a modificazioni chimiche che non si sa dove ci possano portare. Psicofarmaco, lei lo sa bene, significa in greco veleno per l’anima…”.
In questo romanzo focalizza l’attenzione su uno scrittore di mezza età che esce dalla crisi e ringiovanisce di colpo, mentre in “Un anno senza canzoni” la protagonista era una teen ager: come riesce a costruire la psicologia di personaggi così diversi?
“Mi guardo attorno, mi guardo dentro, rifletto”.
Lei ha vinto questi premi letterari: Bagutta, Martina Franca, Basilicata, Super Campiello, Città di Milano, Hemingway, Rapallo, Castiglioncello; in Francia, il Prix des lectrices de "Elle" (Rouen). I suoi romanzi sono stati tradotti in diciotto lingue. Insomma, si può vivere di scrittura in Italia?
“Solo se si ha un successo commerciale. Il successo letterario, i premi, le traduzioni, le recensioni in lingue sconosciute sono un balsamo per l’ego. E questo tipo di successo certo non esclude necessariamente quello commerciale. Ma è ben lontano dall’essere la stessa cosa”.

Valerio Cattano

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