Annette Wieviorka, nel suo “Auschwitz spiegato a mia figlia”, afferma che probabilmente la tragedia dei lager nazisti è stato l’avvenimento più europeo di tutta la storia del novecento. La storia passa dunque anche da Siena e qui emblematicamente ritorna, come si scopre leggendo i documenti delle famiglie ebree che da Siena fuggirono nel Chianti o in Svizzera o di quelle che furono deportate e uccise all’interno dei lager. Questa storia, in cui si sovrappongono vittime e carnefici, persone che decisero di mettere in gioco la propria vita per salvare quella degli altri, può apparire lontana nel tempo e nello spazio ma è quanto mai vicina e necessita di essere conosciuta nella speranza che “mai più Auschwitz” non resti semplicemente uno slogan ma induca ad una riflessione profonda sul male inteso nella sua ordinaria banalità. In quest’ottica l’istituto Storico della Resistenza Senese, con il contributo del Cesvot, ha realizzato nell’ambito del progetto “Gli ebrei senesi raccontano” il quaderno didattico “1938-1944. Documenti, storie e memorie: gli ebrei senesi raccontano”, che verrà presentato martedì 26 gennaio (ore 17.30) a Siena, all’interno della Stanze della Memoria. Si tratta di uno strumento che affronta un capitolo drammatico della recente storia italiana attraverso una sua declinazione senese. L’obiettivo è quello di stimolare la riflessione sull’evento della Shoah attraverso la lettura e l’analisi di testi e documenti storici, testimonianze che fanno riferimento a quanto accaduto nella nostra terra tra il 1938 e il 1944. Fa parte del progetto anche il documentario “La responsabilità del bene. Dniepropietrovsk, Kolomyja, Siena”, curato da Silvia Folchi e Antonio Bartoli, che sarà presentato martedì 26 e mercoledì 27 gennaio (ore 17.30) a Siena, sempre all’interno della Stanze della Memoria. Ad essere raccontata la storia, rimasta sostanzialmente poco nota, di Remigio Rugani, a suo tempo un fascista molto in vista a Siena, medico e direttore della casa di cura, che salvò la vita a circa venti ebrei e di molte centinaia di uomini validi alle armi, prestando soccorso clandestino anche a patrioti feriti in combattimento dai nazi-fascisti. In particolare è emblematico il salvataggio di un bambino ebreo rimasto orfano chiamato poi Franceschino, e del medico ebreo Siegfried Haber. Siamo nel 1943; a quel tempo Rugani dirige un convalescensario in Ucraina. Quando gli italiani abbandonano l’ospedale nel ripiegamento dell’esercito verso l’Italia, il bambino viene nascosto sul treno in mezzo ai soldati vestito con una divisa militare italiana. Stessa sorte per Haber, caricato sul convoglio in seguito ad una breve sosta a Kolomyia. La ricostruzione che il documentario propone utilizza documenti originali e si basa sull’intervista a Donata Rugani che ha permesso di ricostruire un efficace ritratto del padre, per cui ancora nessuno ha avviato la procedura per l’attribuzione della qualifica di Giusto da parte dello stato di Israele.
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