“Giornata della Memoria, attenti alla palude della retorica”. Parla Moni Ovadia

il 27/01/2014 - Redazione

«C’è un grande equivoco che bisogna sciogliere: il Giorno della Memoria non è stato istituito ad uso degli ebrei come molti credono. La memoria serve a capire come le grandi civilizzazioni possano cadere nell’orrore degli stermini e la memoria ebraica ha 3500 anni, non è nata con la Shoah». In occasione della ricorrenza internazionale istituita con risoluzione Onu nel 2005 che si celebra oggi, è l’attore e scrittore di famiglia ebraica sefardita Moni Ovadia a suggerire una rilettura della Giornata della Memoria. Una interpretazione che allarga gli orizzonti a tutte le vittime della violazione e negazione delle libertà e dei diritti umani.

Come siamo giunti a questo equivoco?

«Un equivoco legittimato anche da istituzioni ebraiche e dai Governi dello Stato di Israele usando la memoria della Shoah in modo strumentale, propagandistico per legittimare comportamenti inaccettabili. La memoria è un’altra cosa, serve a costruire un presente e un futuro di giustizia sociale in modo che quegli orrori come lo sterminio nazista non siano più possibili. Noi abbiamo ricevuto nella Torah un monito fondamentale: tutti gli uomini, badiamo bene non gli ebrei, sono modellati a impronta e immagine del Divino. Per questo tutte le vittime hanno la stessa dignità e gli ebrei devono farsi carico di rivendicare l’universalità di un qualcosa che rischia di diventare retorica, falsa coscienza e propaganda».
Questo monito della Torah se calato nel conflitto israelo-palestinese…
«Quando tu calpesti un diritto di un uomo stai calpestando il volto del Divino. Le vessazioni inflitte al popolo palestinese non possono essere messe in un’altra fattispecie. I palestinesi sono esseri umani esattamente come gli ebrei e il loro statuto di libertà deve essere garantito. Dobbiamo porci una domanda: perché non abbiamo trovato un’altra via? La pace si fa tra uomini ugualmente degni e titolari degli stessi diritti, altrimenti non è pace, è diktat. È esattamente quello che sta succedendo da 50 anni a questa parte. C’è un confine tra i due Stati, è la green line, i governi di Israele ad eccezione di Yitzhak Rabin stanno violando la legalità internazionale. Dobbiamo imparare a riconoscere le sofferenze dei palestinesi senza quei paragoni con Auschwitz che sono stupidi. Non possiamo non condannare le violazioni del loro stato di diritto, di libertà e di dignità. E poi dobbiamo sapere che in Israele vivono un milione e 200 mila arabi palestinesi con passaporto israeliano».
E quella di oggi è anche la prima Giornata della Memoria senza Ariel Sharon…
«Il mio giudizio su Sharon è molto severo con il rispetto per la morte che tutti dobbiamo avere. È stato un guerrafondaio, è il responsabile della micidiale guerra dell’82 e ha sulla coscienza il massacro di Sabla e Shatila. Questo non lo dico io ma i 450mila israeliani che scesero in piazza per denunciare quell’eccidio».
Quanto il cerimonialismo legato alla Giornata della Memoria rischia di offuscarne il reale significato?
«Moltissimo. Il cerimonialismo è una catastrofe. Dobbiamo cambiare nome a questa ricorrenza in “Giornata delle Memorie” altrimenti rischia di perdersi nella palude della retorica. Questo è il monito che mi viene dalla mia radice ebraica. Dobbiamo combattere il cerimonialismo fastidioso perché questa ricorrenza splenda nel suo senso compiuto. Io voglio vedere come si comporta un uomo nei confronti di un suo simile qualunque esso sia, non per forza un ebreo. Quando questo succederà allora come ebreo mi sentirò tranquillo».

Cristian Lamorte

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