11 settembre 1906. E’ il giorno in cui per la prima volta Gandhi adotta la metodologia e la dottrina della nonviolenza (satyagraha). Succede a Johannesburg durante una protesta repressa con la forza. Quasi un secolo dopo, solo 95 anni per l’esattezza, lo stesso giorno, ben lontano dal Sudafrica, nella città simbolo dell’evoluzione dell’uomo e del progresso, la violenza vince su tutto. Nel 1986 a Union Square Park, a Manhattan e non distante dall’imponente monumento equestre di George Washington, viene realizzata una statua di un vecchietto magrolino con gli occhiali curvo su un bastone in una mano ed un libro nell’altra. E’ il tributo di quella città maestosa al piccolo Mahatma. Quindici anni dopo anche quella piccola statua avrebbe visto, dietro quegli occhialini, cadere le torri gemelle. Avrebbe visto crollare I fondamenti del suo pensiero.
Cosa c’entra tutto questo? C’entra eccome. Nella fatalità delle date e dei calendari si può leggere non solo gli oroscopi quanto I simboli di una regressione umana. Sapreste descrivere cosa provavate dieci anni fa di fronte alla televisione? Sconcerto e timore. Incredulità, nell’accezione più significativa del termine ossia la totale assenza della capacità di credere in qualcosa. Come è possibile? Quante volte ve lo siete chiesti di fronte a quelle immagini. Quell’insensatezza e quella barbarie.
Per la prima volta dopo lo sbarco sulla luna quasi tutte le televisioni del mondo erano sintonizzate sulle stesse scene. Per la prima volta dopo la sbarco sulla luna credo che quasi tutte le persone fossero sintonizzate sul comune sentire un senso di inadeguatezza e stupidità del genere umano. E chi non lo ha sentito ha avuto la fortuna di un’ancor maggior deficienza. Tanto grande si è sentito l’uomo di fronte allo schermo di una tv e di fronte all’orma di un proprio simile sulla polvere lunare. Tanto piccolo si è sentito l’uomo, o perlomeno io che nel luglio del ’69 non c’ero, di fronte allo schermo di una tv e di fronte all’orma di un proprio simile sulla polvere di un grattacielo.
Ripenso a quel giorno e non mi vengono tante parole per descrivere ciò che vedevo e provavo. Mi vengono in mente, tutt’oggi, tanti punti interrogativi. Ma le domande sono il dubbio. E la non certezza è il sintomo della fragilità. Ecco come mi apparve l’uomo quel giorno. Fragile. Possibile? Fragile non lo era Gandhi un secolo prima nonostante il suo aspetto minuto dietro quegli occhialini.
“L’occhialuto uomo” stupido più di una talpa reo di aver inventato la distruzione era quello del finale de “La Coscienza di Zeno”: […] inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l’uomo diventa sempre più furbo e più debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. […] Altro che psicoanalisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni prospereranno malattie e ammalati.
In quell romanzo si sviluppa una lunga diagnosi della crisi dell’uomo contemporaneo alle prese con la malattia del suo pensiero. Era alla fine frutto dell’immaginazione di Svevo. La realtà era, o era stata perlomeno, quella degli occhialini, quella di Gandhi.
Facciamo allora a Union Square Park un’altra statua. Dedichiamola all’occhialuto uomo, fiero, possente, ricurvo casomai sulla furbizia e il potere in una mano ed un ordigno nell’altra. Facciamola se ci serve a pensare. Facciamola però accanto a quella del Mahatma per capire come siamo cresciuti in un secolo. Facciamolo per imparare. Però Gandhi disse non ho nulla da insegnare al mondo. La verità e la non violenza sono antiche come le montagne.
Cristian Lamorte
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