Le “opere prime” possono essere determinanti per uno scrittore. Facilmente si può scivolare nel libro-confessione, in una seduta terapeutica che molto ha a che fare con l’autore e suscita poco interesse in chi legge. Nel caso di Marco Piermattei (“I padri di Raul”, Romano Editore), fiorentino, si assiste ad uno sforzo che farebbe pensare a qualità innate. Piermattei si definisce autodidatta – per vivere svolge mansioni nel settore aeroportuale – ed attraverso la storia di tre ragazzi, sviluppa una trama che punta sul romanzo generazionale.
I padri di Raul è un romanzo su cosa vuol dire diventare grandi?
“E’ una storia che accompagna i tre protagonisti dall’infanzia alla giovinezza, focalizzando quindi l’attenzione su quella parte di vita in cui ogni esperienza è in grado di registrarsi in modo indelebile. Il legame cui Maurizio, Danilo e Glenda danno vita è un autentico inno alla giovinezza, perché accade in un’età in cui si ha quella giusta dose di coraggio e leggerezza per riuscire a vivere le esperienze in modo spontaneo, talvolta impulsivo, senza preoccuparsi o dar troppo peso alle conseguenze. La vita, in quel passaggio, è vista come un ventaglio di possibilità, è “promessa” invece che “esperienza”, è talvolta un qualcosa che ancora non ha avuto il tempo di farci male”.
Lei ha scelto tre protagonisti: Maurizio, Danilo e Glenda. Può fornire una definizione per ognuno?
“Maurizio è un ragazzo tranquillo ed equilibrato, con un’educazione proiettata alla ricerca della stabilità e dei punti fissi, ma a cui non manca la curiosità di scoprire se la sua pasta sia fatta di qualcos’altro. Per saperlo ha bisogno di avere accanto una figura diversa da lui. Danilo è per Maurizio un motore trainante. Dal canto suo, Danilo trova in Maurizio lo stesso tipo di stimolo, proprio perché rappresenta quella parte di personalità in cui Danilo si sente più carente. In poche parole, Danilo vorrebbe avere la sicurezza e la stabilità dell’amico, mentre l’unico modo che ha di affrontare la vita è camminare in bilico, lasciandosi la non remota possibilità di potersi buttare. Glenda è la figura femminile che si pone al centro di questa bilancia di sentimenti. E’ pura, sensibile, sbandata, seducente; è una donna che cresce con addosso il profumo della vita, nonostante abbia già conosciuto la sofferenza. Maurizio e Danilo la inseguono per motivi diversi, quanto complementari”.
Amore e amicizia sono elementi che bastano a strutturare una storia interessante?
“Sì, senza dubbio. Se volessimo provare a sviscerare le parti che compongono questi due elementi, troveremmo una meravigliosa abbondanza di sfumature, ognuna degna di stare dentro una storia. Si può amare una donna, un uomo, un bambino, un animale, un luogo, persino un pensiero o un’idea. Si può amare molto, basta capire come farlo. Nell’amicizia si condivide, si sostiene, ci si appoggia, ci si diverte e ci si perde, e alla fine la cosa più bella è scoprire che nulla è cambiato. L’amicizia vera può congelarsi, andare il letargo, persino finire, ma il più delle volte è resistente al tempo e alle intemperie”.
E’ sempre difficile per un esordiente farsi accettare da una casa editrice, vuol raccontare come è andata?
“Mi avevano suggerito la Romano editore per l’interesse che mostrava verso gli autori esordienti. In più, la loro sede era a Firenze, la mia città”.
Riporto da una sua risposta sul tema delle scuole di scrittura creativa: “Frequentare un corso vuol dire uscire la sera, magari dopo una giornata di lavoro, ed entrare in un’aula col neon acceso per incontrare un “professore” che ti dice come fare una cosa che dovrebbe invece venirti spontanea. Si può sopportare, tutto ciò?”. Ma se lei non ha mai frequentato un corso come può essere sicuro che sia proprio come lo ha descritto?
“In effetti, ha ragione. La frase che ha estrapolato è volutamente ironica e, nella mia mente, disegnava una scena un po’ grottesca in cui un giovane, magretto, insicuro e pieno di speranze, esce col buio, magari in pieno inverno e sotto la pioggia, con un taccuino in mano per prendere appunti, mentre la moglie – o la madre – è a casa a mangiare un piatto caldo e a girare canali alla televisione. E’ vero, non ho mai frequentato un corso di scrittura creativa, e chissà che un giorno non mi decida a farlo. Per adesso ho scelto il percorso autodidatta, in cui mi sono servito di validi manuali di scrittura creativa. In realtà, sto più pensando a un corso di sceneggiatura, per imparare a strutturare correttamente una storia”.
Torniamo al romanzo, si ritiene soddisfatto dell’accoglienza ricevuta, come se lo immaginava il suo esordio?
“Sono molto soddisfatto. Ho avuto un appoggio e un calore straordinario da parte di coloro che già mi conoscevano, ma non si immaginavano che potessi sorprenderli con la pubblicazione di un romanzo. Anche i primi feedback dal “mondo esterno”, ovvero da quei lettori che non mi hanno mai visto, ma solo letto, è stato buono, e questo mi rende molto felice. Non posso che augurarmi di continuare su questa linea”.
Sta già pensando ad una seconda prova nella narrativa?
“Sì, mi piacerebbe e ci sono già delle idee. Si tratta solo di ricominciare “a perdersi” nella dolcezza delle parole, nella voglia di far vivere una storia che, per adesso, esiste solo nella mia mente”.
Valerio Cattano
SOTTOTORCHIO
LIBRO E AUTORE PREFERITO
Me ne conceda almeno due, che già è difficile. “L’amante” di Abraham Yehoshua ed “Espiazione” di Ian McEwan
L’ULTIMO LIBRO LETTO
“La solitudine dei numeri primi” di Paolo Giordano
UN LIBRO DA CONSIGLIARE AI LETTORI
“Un giorno” di David Nicholls
LEGGERE È…
Allontanarsi per un po’ dalla propria realtà e sognarne un’altra, che ci piace non perché è migliore della nostra, ma semplicemente perché è diversa…
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