A un anno di distanza da “Perché amo solo chi fugge?” (Giovane Holden Edizioni), esce il secondo romanzo breve di
Viola Conti “Perché sfuggo all’amore?” (Giovane Holden Edizioni)
. Entrambi i romanzi rientrano in un progetto editoriale tanto utile quanto importante ossia parlare di dipendenze affettive, argomento poco affrontato dai media, ma che spesso è alla base di infelicità, insoddisfazione e a volte persino di disagi e difficoltà assai più gravi e allarmanti. Ho rivolto alcune domande all’autrice Viola Conti.
Viola, come nasce il progetto di questi romanzi brevi dedicati al tema delle dipendenze affettive e perché?
Sono convinta che tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo vissuto relazioni asimmetriche, in cui uno dei due non si è sentito amato secondo le sue aspettative o ha trovato difficoltà a lasciarsi andare o a troncare col partner. Il dolore come la gioia è un’emozione che fa parte di una relazione, ma quando diviene sofferenza e quindi esperienza negativa capace di coinvolgere la mente in pensieri ossessivi e distruttivi non è uno strumento di crescita personale. Fare della sofferenza emotiva un bagaglio indispensabile per la conoscenza di sé è possibile e per giunta auspicabile. Perché è dalla sofferenza che si rinasce più forti e ricchi di prima. Si è più maturi, perché si è individuata l'origine del dolore e capito come attraversarlo senza farsi più sopraffare. Vivere è respirare e amare è “anche” soffrire. Esplorare il campo delle dipendenze affettive aiuta, quindi, a riconoscere quei meccanismi nocivi che sono il campanello d'allarme in una relazione, al fine di riportarla sui binari del dialogo e della reciprocità. Considero i miei romanzi dei self help per l'educazione sentimentale soprattutto dei giovani, che oggi, ancora più di prima, con la caduta dei generi e dei ruoli familiari, hanno necessità di fare chiarezza su determinati malesseri psicologici derivati dal vivere rapporti disfunzionali. Il messaggio è chiaro: rinunciare ad amare non è la strada per la felicità e, per raggiungerla bisogna, cominciare ad amarsi, trasformando il proprio dolore in talento.
Ogni tuo romanzo è caratterizzato da uno stile scorrevole e pulito, contraddistinto da venature erotiche e umoristiche. Un modo apparentemente leggero di raccontare tematiche pesanti, perché?
Le storie al femminile che racconto sono parte del mio vissuto e del mio bagaglio professionale come giornalista, dato che sono un mix di esperienze e di testimonianze di donne "dipendenti" a livello affettivo. Lo stile è ironico, leggero, perché l'io narrante è libero di esprimersi e si rappresenta per quello che è, senza infingimenti. Non c'è giudizio, interferenza esterna, ma verità, proprio perché tutte le protagoniste dei romanzi parlano in prima persona dei loro sogni, desideri, obiettivi di vita, debolezze, abitudini. Sono tutte diverse ma accomunate dal bisogno di amare per colmare dei vuoti emotivi che, più o meno consapevolmente, hanno dall'infanzia e che hanno causato loro un rapporto disfunzionale con l'altro, facendole sentire di nuovo quelle bambine desiderose di essere viste e amate dai propri genitori. Soprattutto le lettrici si riconoscono nelle dinamiche relazionali tossiche, perché le donne, più degli uomini, si ri-conoscono come individui all'interno di una relazione affettiva, investendo di più in termini di tempo e progettualità. È un fattore biologico e soprattutto culturale che ancora oggi persiste anche nelle società occidentali e capitaliste, nonostante si siano fatti notevali passi avanti per l'emancipazione e l'empowerment femminile. Per questo motivo, ho pensato che fosse giusto parlare principalmente alle donne e fornire loro uno strumento utile per conoscersi meglio, attraverso il contributo della love coach Sonia Veggiotti che, a margine di ogni storia, fornisce uno schema sintetico ed analitico del profilo psicologico della donna in questione. Attraverso l'identikit che viene evidenziato, la lettura assume un valore conoscitivo propedeutico anche ad un eventuale percorso terapeutico.
Cosa induce le persone a non affrontare le proprie dipendenze affettive, secondo te?
Non è facile affrontare la dipendenza affettiva perché il più delle volte non se ne è consapevoli, poi c'è la vergogna nei confronti dei familiari, degli amici, della società in genere, che ci vuole forti, risolti, vincenti. Mettere a nudo le proprie fragilità significa iniziare un percorso di crescita personale che mette in discussione le certezze e i punti fermi che si hanno nella vita, a cominciare da un partner che forse non ci ama, o non ci ha mai amato. Soprattutto significa ricostruirsi una nuova identità, che non sempre riusciamo ad accettare. È come vedersi allo specchio con le nostre imperfezioni e imparare a sorridere e a farne il nostro punto di forza, di unicità. Naturalmente, in questo processo di rinascita è fondamentale il supporto degli altri, per non ricadere nel circolo della dipendenza che, come tutte le droghe, può indurre all'autosabotaggio psicologico e a credere che l'amore sia il veleno e non la medicina per la guarigione e la piena realizzazione di sé.
Il progetto editoriale prevede un numero predeterminato di uscite? Se sì, vuoi parlarcene?
Il progetto editoriale "Il dolore è un talento" intende esaminare tre organizzazioni della personalità legate alla dipendenza affettiva: la depressiva, l'ossessivo compulsiva e la fobica. I primi due romanzi sono incentrati sulle dinamiche comportamentali della depressiva: Celeste è una donna insicura che non accetta il rifiuto, mentre Micol è incapace di lasciarsi andare all'amore. A fine anno chiuderà la trilogia Stella, che ama sedurre ma si nega all'amore. L'intento è raccontare le diverse sfumature delle dipendenze affettive attraverso delle storie in cui il lettore può immedesimarsi e capire quanto sia facile e pericoloso scambiare l'amore con il bisogno d'amore. La dipendenza è un disagio psico-fisico di ugual misura alle altre dipendenze, con la sola distinzione che è più subdola e dura a morire perché si insinua nel vivere quotidiano delle relazioni e va a minarle nel profondo. Sei saranno le donne protagoniste del "mal d'amore", qualcuna si salverà sola, altre no, come accade nella vita vera. Seppure le storie siano romanzate, le protagoniste sono donne reali, conosciute durante l'arco della vita che hanno voluto confidarmi il proprio rapporto d'amore malato. Stessa cosa vale per gli uomini che sono stati vittime o carnefici a seconda dei casi. Confidarsi è stato un primo passo del percorso di guarigione, che auspico a tutti i lettori che si sentono prigionieri delle proprie emozioni, come Celeste o Micol. Molti di loro mi scrivono perché hanno apprezzato i romanzi o perché vogliono raccontarmi la propria storia. Alcuni cercano consigli e contatti utili e di questo sono lusingata. Naturalmente, sia io che Sonia siamo a disposizione sui nostri canali.
Nella vita, oltre a essere autrice sei anche una seguitissima book instagrammer: cosa ti ha spinto a intraprendere questa strada e come si riesce a ottenere così tanti follower?
Sono sempre stata una lettrice e scrittrice compulsiva che, con l'avvento dei social, è rimasta attratta dalle loro enormi potenzialità dovute ad una comunicazione veloce e interattiva. Ho deciso così di aprire il mio Salotto letterario su Instagram con l'idea di creare uno spazio dinamico in cui parlando di libri, si potesse fare comunità, lanciando iniziative anche fuori dagli schermi dei pc e dei cellulari. Una su tutte: "Ospiti in Salotto in tour", il format letterario in giro per l'Italia per conoscere autori e lettori con interviste e incontri tematici. In pochi anni i numeri sono cresciuti e posso ritenermi soddisfatta del lavoro fatto. Ho ancora tante idee da realizzare per il prossimo anno e spero di realizzarne almeno la metà. L'importante è metterci impegno e passione: i libri, a differenza di ciò che comunemente si pensa, sono il mezzo più efficace per vivere il presente, perché ti permettono di dare forma ai pensieri ed essere, allo stesso tempo, memoria individuale e sociale. Sono uno strumento alla portata di tutti capace di smuovere la coscienza e offrire un punto di vista che non sia veicolato esclusivamente dal potere delle immagini del mezzo televisivo. Proprio per questo, li considero i mattoni della cultura, che parte proprio dalla scuola per arrivare ai nuovi mezzi di comunicazione e fruizione di massa, come le piattaforme social. Avere avuto l'intuito e il coraggio di lasciare il giornalismo tradizionale per diventare promotrice culturale sui social, trasformando una mia passione in un'opportunità di lavoro (precario innanzitutto), è stato fare un salto nel buio, ma non sono affatto pentita della scelta fatta. Anzi, invito tutti a seguire i propri interessi e passioni perché sono un salvavita per l'anima e, come diceva bene il poeta Pablo Neruda, sono proprio le abitudini a renderci schiavi, infelici e direi, anche dipendenti affettivi.
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