Dalle monografie di carattere giuridico alla narrativa, passando per le poesie con cui ha ottenuto il premio Pedrocchi, nel 1987. Autore prolifico, Domenico Cacopardo, magistrato, ha un suo personaggio che lo contraddistingue nel panorama dei gialli italiani: si tratta del sostituto procuratore Italo Agrò. Collaboratore di alcuni giornali quotidiani, Cacopardo si è cimentato anche con la radio, “protagonista” di uno spazio su Radio 24 dal titolo “Il taccuino del dottor Agrò”. La nuova indagine del sostituto procuratore viene descritta nel romanzo “Agrò e la scomparsa di Omber” pubblicato da Marsilio.
Dopo i saggi e le poesie è approdato al giallo, vuol raccontare questo percorso?
“Un percorso inatteso per me. Marsilio pubblicò “Il caso Chillé”. Non credevo di avere scritto un giallo. La critica lo considerò invece tale. Mentre il libro usciva consegnai a Cesare De Michelis il testo di quello che sarebbe stato poi pubblicato con il titolo “Carne viva”, un romanzo storico. Cesare mi telefonò il giorno di Ferragosto del 2000. Ero in barca, a Letojanni, con una lenza in mano. Mi disse: “Hai scritto un bel libro. Si tratta, però, di un romanzo storico. Te lo pubblico se mi fai un giallo”. Non sapevo da dove cominciare. Così guardai tra le mie carte che conservavo nella casa di famiglia: 96 tra plot, racconti e romanzi (tra i quali Virginia). Trovai “La strana storia di Catenio La Strada”. E così nacque il mio primo giallo “L’endiadi del dottor Agrò”.
C’è una fedele riproduzione del lavoro del magistrato della Procura fra burocrazia e tentativi di indagine; vive ancora la regola che per scrivere un buon romanzo si deve conoscere alla perfezione l’ambiente ricreato in letteratura?
“No, non credo. I romanzi sono di due specie: buoni e cattivi. Un buon romanzo può essere figlio della conoscenza dell’ambiente, ma anche della fantasia. L’autore è un artigiano che usa i mezzi di cui dispone. Se tra essi c’è la conoscenza dell’ambiente, tanto meglio, salvo il fatto che ne può risultare condizionato”.
Il suo ultimo romanzo può ritenersi un capitolo successivo del precedente “Agrò e la deliziosa vedova Carpino”, visto che Omber aveva un ruolo in quella vicenda?
“Ogni romanzo è frutto autonomo della mente dell’autore. Ma nel caso di Omber, l’idea mi frullò in capo mentre leggevo le bozze della ‘vedova Carpino’”.
Nel libro si parla anche di un periodo della storia politica italiana con nomi e sigle quali De Mita, Craxi, Il Psi e il Pds…perché questa scelta?
“Perché se non ‘vedo’ il contesto, se non lo sento, mi sembra di scrivere un fantasy. Il desiderio di essere vicino alla realtà di un determinato momento fa aggio su altre scelte. Tenga presente che con Omber ci avviciniamo a Tangentopoli, un periodo che mi interessa”.
Ha passato una parte della sua giovinezza in Sicilia. Pure Agrò, il suo protagonista è siciliano. Quanta influenza ha la Trinacria nel suo modo di scrivere e sviluppare i suoi soggetti?
“A questa domanda non so rispondere. Si dovrebbe girare il quesito ai miei amici e ai critici”.
Restiamo in Sicilia. Messina, a cui lei dedica sul suo sito alcuni ricordi, come tutte le città del Sud ha i suoi misteri irrisolti seppur confessati a mezza bocca nei caffè e nei salotti. Non le piacerebbe confrontarsi con quella realtà calandovi una storia di Agrò?
“Da Messina sono andato via nel ’47. Ci sono tornato con frequenza, ma rimanendo estraneo al retrobottega. Perciò non so molto sulle vicende inquietanti che l’hanno attraversata e l’attraversano. Collaboro con il settimanale siciliano Centonove e scrivo anche di Messina. Ma per le cose eclatanti, come il recupero delle memorie borboniche da parte di nostalgici fuori dal tempo. Hanno addirittura celebrato, nel 2010, il centenario dello sbarco di truppe –italiane- di Murat per la liberazione della Sicilia. E l’hanno celebrato dalla parte di contadini e preti che con i forconi sbaragliarono le poche centinaia di patrioti ch’erano arrivati con un generoso compito: scacciare il Borbone (Ferdinando, re lazzarone)”.
Agrò ha pure un blog a lui dedicato, “Gli amici di Italo Agrò”: un modo per discutere non solo di narrativa?
“Assolutamente no. Soprattutto politica”.
Valerio Cattano
SOTTOTORCHIO
LIBRO E AUTORE PREFERITO:
In questo momento, Houellebcq “La carta e il territorio”.
L’ULTIMO LIBRO LETTO
Domenico Starnone, “Autobiografia erotica di Aristide Gambía”.
IL LIBRO DA CONSIGLIARE AI LETTORI
“La cartella del professore”, dell’autrice giapponese Kawakami Hiromi
LEGGERE E’…
Un impegno, non una distrazione.
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