Una passione che nasce prima in famiglia, prende corpo tra i banchi dell’università, e cresce fino a diventare una professione lavorativa e un’esigenza di vita. Giuditta Scorcelletti, lo scorso mercoledì di scena a Montalcino insieme ad Alessandro Bongi e il loro ultimo cd, “Coscine di Pollo”, è una cantante, attrice ed esecutrice che trae ispirazione dalla tradizione del canto popolare toscano e ne ripropone nuovi brani rivisti, rivisitati e riproposti sotto una nuova veste.
Come’è nata questa passione? - “In casa si cantava sempre. Mio padre faceva parte di un coro e nella mia famiglia si usava spesso riunirsi per la tradizionale “veglia” della sera. Insomma, sono cresciuta con la musica. Poi, quando ho iniziato a frequentare l’università, ho conosciuto il compianto professor Fornari che aveva condotto e pubblicato molte ricerche sul canto popolare toscano. Era il 1995 e da quell’incontro ho iniziato anch’io a fare ricerche, a documentarmi sulle tradizioni canore della montagna pistoiese. In particolare di Rivorete nel comune di Cutigliano, paese dove è nata mia madre e dove anch’io, posso dire, sono cresciuta. Dopo le ricerche sono diventata “un’esecutrice”, sebbene abbia iniziato a suonare tardi. A 18-19 anni ho preso la chitarra in mano e, traendo spunto dalle raccolte di Alessandro Fornari e dalle mie ricerche, ho iniziato a sviluppare il mio repertorio. Ho preso ispirazione anche da cantautori italiani e stranieri ma la base resta quella del canto popolare, una tipologia di suono che si unisce molto bene alla teatralità e all’interpretazione”.
Come ci si può avvicinare al canto popolare evitando di fare “operazioni di nostalgia”? - “Il canto popolare non è assolutamente morto. Anzi, si presta benissimo alle più disparate sonorità, comprese quelle moderne. Gli arrangiamenti che faccio insieme ad Alessandro Bongi sfruttano anche gli strumenti moderni, tipo sperimentazioni con strumenti elettrici, per ricreare le melodie del passato. E questo perché il canto popolare, decisamente lirico e monostrofico, risulterebbe abbastanza monotono se accompagnato solo da una chitarra classica. Non che non valga la pena arrangiarlo così. Anch’io ho realizzato un cd solo con la chitarra, nel 2004, ed ebbe anche una buonissima recensione da “Sing Out” (Stati Uniti, ndr). “Canti Toscani”, quello il nome dell’album, era però la mia prima raccolta. Poi la mia produzione si è evoluta e, grazie agli splendidi arrangiamenti di Alessandro Bongi, oggi posso dire che i canti popolari hanno trovato una nuova dimensione e una veste più moderna”.
Che universo socio-culturale esprime il canto popolare? - “Dietro c’è ovviamente tutta la tradizione contadina dei secoli scorsi. Però lo possiamo attualizzare perché i temi sviluppati si ritrovano anche oggi: la moglie che tradisce il marito, lui che la punisce, la morale di una storiella, eccetera. È uno specchio di vita sostanzialmente che racconta le vicende dei popoli. Ed è un’esigenza questa decisamente presente nella società moderna. La carta prima, il web poi, hanno soppiantato quella spinta al confronto diretto faccia a faccia. Il canto popolare serve proprio per riscoprire questa dimensione, quella in cui “si racconta la vita”. Il canto è un’interfaccia diretta, non un simulacro di confronto come avviene nei moderni mezzi di comunicazione. Nel canto popolare c’è una schiettezza assoluta: io canto, ti guardo in faccia e ti racconto come va il mondo”.
E dal punto di vista musicale che tipo di interesse presenta? - “Credo ci sia molto interesse. Oggi, per esempio, vanno molto i ritmi tribali come le tarantelle. E in questo ci vedo come una sorta di volontà di ritrovare le proprie origini. In un mondo caratterizzato da una cultura così dispersiva, il ricercare e il ritrovare le proprie origini in musica ci dà un senso di appartenenza e identificazione che inevitabilmente ci conferisce forza”.
Dal punto di vista letterario invece? - “I canti popolari toscani non avevano libretti. Venivano tramandati con l’oralità. Ed anch’io mi ispiro a questa dimensione nella mia produzione musicale, cercando di ricordare e ricercare i canti che mi facevano i miei genitori ed i miei nonni. In Toscana, questi canti venivano al massimo scritti sui cosiddetti “fogli volanti”, ma si trattava in ogni modo di poche, pochissime strofe. Il canto popolare toscano è diverso da tutti gli altri d’Italia. La cultura contadina delle nostre terre privilegiava “le storie”, ed ha fatto nascere questo particolare tipo di canto “narrativo”. La storia la fa da padrona nel canto popolare toscano, il ritmo e la strumentazione sono secondari. Non cambiano mai ma vengono semplicemente rigirati e riadattati al testo”.
SOTTO TORCHIO
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