Cento anni dalla nascita di Italo Calvino La “funzione esistenziale” della letteratura che svela la realtà

Siena il 06/04/2023 - di Luigi Oliveto
Sono cento anni dalla nascita di Italo Calvino (Santiago de Las Vegas, Cuba, 1923 - Siena, 1985). L’occasione centenaria offrirà diverse opportunità per tornare a parlare di uno dei narratori più significativi del secondo Novecento per originalità di stile, inventiva degli artifici narrativi, scrittura di grande nitore ed eleganza.
 
Dal neorealismo del suo esordio con il “Sentiero dei nidi di ragno” (1947) alle suggestioni postmoderne di “Se una notte d’inverno un viaggiatore” e “Palomar” (1883), Calvino perseguì una propria originale ricerca che univa il lavoro di scavo sulle ragioni della scrittura a un linguaggio perfettamente costruito in tutte le sue possibilità combinatorie. Proprio in virtù dei risultati stilistici raggiunti, a volte ci si chiede se, dopo di lui, nella letteratura italiana sia accaduto qualcosa di veramente nuovo.
 
La sua idea di letteratura è in buona misura contenuta nelle “Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio”, uscite postume nel 1988, nelle quali l’autore enuncia quelli che considera i valori fondanti della letteratura, la sua “funzione esistenziale” attraverso cui è possibile svelare la realtà. Memorabile la lezione sulla “Leggerezza”, che più di altre rivela la chiave di lettura dell’universo calviniano, ovvero l’intento di scomporre in elementi sottili (“leggeri”) la drammaticità dell’esistere, per alleggerire, così, la pesantezza della realtà.
 
Nel settembre 1985, stava giusto lavorando alla preparazione di queste lezioni da tenere negli Stati Uniti, quando, nella residenza estiva di Castiglione della Pescaia, fu colto da ictus. Ricoverato all’Ospedale Santa Maria della Scala di Siena vi sarebbe morto il 19 settembre. Terminò dunque la propria esistenza in una città che può benissimo somigliare a qualcuna delle sue immaginarie “Città invisibili”, laddove il racconto oscilla continuamente tra la dimensione filosofica e fantastico-allegorica (Pietro Citati parlò di “parabola morale e allegoria metafisica”). Città invisibili e di sogno in cui la complessità del mondo e dei suoi accadimenti si trasfigura in rarefatti luoghi mentali, svincolati dal tempo e dallo spazio.
 
Quando, proprio in quel libro, si va a leggere il capitolo dedicato alla città di Zaira, non è poi così difficile sovrapporvi l’immagine di Siena. Scrive Calvino: “Inutilmente magnanimo Kublai, tenterò di descriverti la città di Zaira dagli alti bastioni. Potrei dirti di quanti gradini sono le vie fatte a scale, di che sesto gli archi dei porticati…; ma so già che sarebbe come non dirti nulla. Non di questo è fatta la città, ma di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato...”. La rappresentazione fantastica del luogo prosegue: “di quest’onda che rifluisce dai ricordi la città s’imbeve come una spugna e si dilata”. E avverte infine l’autore: “Una descrizione di Zaira quale è oggi dovrebbe contenere tutto il passato di Zaira. Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, virgole”.
 
Suscita forte emozione soffermarsi su questa pagina e immaginare Calvino, dietro gli “alti bastioni” dell’antico Ospedale Santa Maria della Scala, perso in un sonno che non ebbe risveglio. Strano gioco di “destini incrociati”, verrebbe da dire. Anche le austere mura dello Spedale senese potevano essere benissimo quelle di una qualche invisibile città calviniana.
 
I suoi resti mortali riposano nel cimitero di Castiglione della Pescaia, tra rose, siepi di rosmarino e macchia mediterranea. Là è sepolto anche l’amico Carlo Fruttero. Per anni avevano lavorato fianco a fianco alla Einaudi, entrambi trascorrevano i mesi estivi nelle loro villette a Roccamare. Passeggiavano insieme, spesso in silenzio. Li piaceva quel mare, il profumo dei pini, la luce nelle diverse ore della giornata. Era il luogo ad avere scelto loro, non viceversa.
 
Leggiamo in “Palomar”: “Il mare è appena increspato e le piccole onde battono sulla riva sabbiosa. Il signor Palomar è in piedi sulla riva e guarda un’onda. Non che egli sia assorto nella contemplazione delle onde. Non è assorto, perché sa bene quello che fa: vuole guardare un’onda e la guarda.”
Come il signor Palomar che guardava il mare non per una vaga contemplazione, ma per indagarne “un’onda singola e basta”, a Calvino piacque investigare, con ostinata razionalità, l’incertezza e il dubbio che segnano l’esistenza; non di meno sviluppare una riflessione sulla storia e la società. Ancora ne “Le città invisibili” scriveva: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio".
 
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Luigi Oliveto

Giornalista, scrittore, saggista. Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004),... Vai alla scheda autore >

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