“Carta e penna, scrivi che ti passa”. Intervista alla psicoterapeuta Serena Neri

il 30/05/2011 - Redazione

Tristezza, gioia, rabbia, solitudine, paura. Troppo lungo sarebbe l’elenco di quelle emozioni che ciascuno di noi, perlomeno una volta nella vita, ha cercato di tradurre in fiumi d’inchiostro o in poche parole. Bastano una penna e un foglio da imbrattare con il proprio sentire per avere effetti benefici sui propri stati d’animo. In fin dei conti quel primordiale “Caro diario” è forse la traduzione in concreto di un effetto benefico che si traduce in necessità, quella di raccontare e di scrivere. Un effetto benefico conosciuto a tutti noi ma ben noto ancor di più se dalla scrivania o dal letto di casa ci si sposta a quelli di uno psicologo. Scrivere è terapeutico in sostanza. Questo stretto legame tra carta, penna, coscienza e incoscienza abbiamo cercato di approfondirlo con la dottoressa Serena Neri, psicoterapeuta responsabile dello studio di Siena affiliato al centro di terapia strategica di Arezzo.
“La lettura di un libro, favorendo la conoscenza di alcune tematiche può, in alcuni casi, rappresentare la molla che spinge una persona a ricercare un aiuto psicoterapeutico per affrontare certe sue personali difficoltà. La scrittura invece è da considerarsi un importante strumento che può essere utilizzato durante la psicoterapia per favorire il cambiamento nella persona che ha chiesto aiuto. Nella terapia breve strategica esistono prescrizioni date dal terapeuta al paziente che si basano proprio sull’uso della scrittura. Una di queste, dimostratasi molto efficace perché sperimentata su tanti casi è chiamata “Romanzo del trauma” ed è utilizzata principalmente con le persone che soffrono per il disturbo post traumatico da stress. Queste persone hanno subìto un trauma e continuano a sperimentare nel presente ricordi e sensazioni legate a quell’evento molto intrusive e di grande sofferenza. Arrivano in terapia con un enorme carico emotivo fatto di paura, dolore e rabbia. In questi casi il terapeuta prescrive al paziente il compito di ritagliarsi uno spazio di tempo nell’arco della giornata per prendere carta e penna e scrivere dettagliatamente l’esperienza traumatica vissuta proprio come se dovesse produrre un romanzo. Tutto questo dovrà essere fatto descrivendo nei minimi dettagli le sensazioni legate alle immagini, alle parole, ai suoni, agli odori rimasti impressi nella memoria e che creano dolore. La prescrizione del romanzo del trauma ha importanti effetti terapeutici. Il primo e’ quello di favorire l’esternalizzazione del trauma stesso che in questo modo viene trasferito su carta e tirato fuori da sé. Il secondo è la creazione di una sorta di “effetto abituazione” ovvero una forma di abitudine che la persona costruisce nei confronti di ricordi ed emozioni dolorose che, fino a quel momento ha cercato di sfuggire senza riuscirci ma che adesso, proprio perchè ricercate attivamente, diventano sempre meno forti. Così facendo produce un distacco emotivo. Tale strumento terapeutico non è semplice come sembra anche perché molte persone hanno un certo rifiuto verso la scrittura e compito del terapeuta è far sentire loro che questa azione è essenziale per uscire dalla loro sofferenza”.
Esistono poi altri metodi terapeutici legati in qualche modo alla scrittura?
“Carta e penna vengono prescritti anche per i casi in cui si manifesta quel disturbo che nella letteratura viene definito “dubbio patologico”. In questo caso la persona è ossessionata da dubbi a cui cerca continuamente di dare rassicuranti risposte ma ogni risposta che trova non è mai veramente esauriente e apre quindi la porta ad un nuovo dubbio. In questa situazione alcune persone reagiscono cercando di non pensarci ma, si sa, pensare di non pensare è già pensare e quindi l’ossessione torna. La prescrizione data consiste nell’utilizzare la scrittura per amplificare il dubbio e le risposte fino ad arrivare a provocare l’“effetto paradosso”, ossia più voglio provocare e assecondare qualcosa che viene spontaneo più lo inibisco, più lo esaspero più lo annullo. Ciò vuol dire fare esattamente l’opposto di cercare di non pensare. Concludendo possiamo affermare che la scrittura in psicoterapia è utile quando ci sono forti blocchi emotivi legati ad emozioni come il dolore e la rabbia. Ci sono casi in cui il rancore di un paziente accumulato nel tempo verso un’altra persona o una situazione è talmente forte che vengono prescritte le “lettere di rabbia” . Con questo compito il paziente viene invitato a scrivere tutto ciò che vorrebbe dire anche di molto brutto, alla persona verso la quale sente una forte rabbia. Naturalmente le lettere non dovranno essere consegnate al destinatario”.
In generale si prescrive quindi la scrittura quando un soggetto manifesta maggiore necessità di comunicazione ?
“La scrittura ha la principale funzione di far defluire i vissuti emotivi perché alla base di molti problemi psicologici ci sono proprio dei blocchi emotivi in quel quadro delle quattro emozioni di base: paura, rabbia, piacere e dolore. Quando si scrive qualcosa che ci fa soffrire in qualche modo si elabora e questo aiuta a tirare fuori pensieri che, se lasciati solo nella testa, spesso si esasperano”.
Oggi però sono cambiati i metodi di comunicazione individuale, basti pensare al fiorire continuo di blog e social network…
“Il mondo della rete in questo senso è pericoloso perché si naviga in un qualcosa di non reale, anzi, spesso blog e social network sono strumenti usati per isolarsi dalla realtà fino al punto di sviluppare addirittura delle patologie da dipendenza da internet. Questo è tutt’altro che terapeutico. A volte capita che persone, soprattutto giovani, scrivano sui social network per condividere problemi e cercare negli altri risposte o rassicurazioni ma questo non fa altro che alimentare un senso di sfiducia nelle proprie capacità di gestire in prima persona proprio quei problemi. Carta e penna sono terapeutici, scrivere su un social network con l’obiettivo di liberarsi da una sofferenza non aiuta.
In cosa consiste nel dettaglio la terapia breve strategica nella quale la scrittura rappresenta uno strumento terapeutico?
“L’evoluzione più moderna della terapia breve strategica si deve alla collaborazione tra Paul Watzlawick e Giorgio Nardone il quale ha definito specifici protocolli d’intervento per la cura di diverse problematiche psicologiche. La terapia breve strategica parte dal presupposto che per risolvere un problema non è necessario andare a ricercare le cause nel passato ma è importante invece occuparsi di come questo si mantiene nel presente. Ciò che mantiene un problema nel presente sono proprio le strategie che la persona mette in atto per cercare di superarlo. Difatti quando tali strategie funzionano il problema si risolve ma se non funzionano la persona di solito intensifica i suoi tentativi in quella direzione convinta che sia la strada più giusta forse perché altre volte lo è stata davvero. Così facendo finisce per creare un circolo vizioso tra tentativi di risolvere il problema e persistenza del problema stesso. Compito del terapeuta strategico è interrompere questo circolo vizioso fornendo al paziente strategie alternative per gestire la sua realtà guidandolo così a sentirsi artefice di un cambiamento profondo che riguarda il suo modo di percepire e reagire a ciò che gli accade”.
Scrivi che ti passa. Si potrebbe banalmente minimizzare un bisogno che vive nel limbo fra taumaturgia e realtà. In quello stretto confine tra razionalità e istinto, per noi più o meno assidui frequentatori di lettini, scrivere è proprio necessità per trovare un giusto equilibrio tra logica e impulso. Rimane spesso il piacere di constatare che, come noi, tanti grandi scrittori hanno trovato in quella necessità l’ispirazione. Rimane spesso il dispiacere di appurare che, a differenza nostra, tanti grandi scrittori hanno trovato le parole giuste per tradurre emozioni in fiumi d’inchiostro. Dopo aver scritto allora leggiamo affidandoci al potere, anch’esso terapeutico, delle pagine di un libro. Perché quel che si voleva scrivere o dire uno come Fernando Pessoa lo ha tradotto in una riga: "se scrivo ciò che sento è perchè così facendo abbasso la febbre di sentire" (Il libro dell'Inquietudine di Bernardo Soares).

Cristian Lamorte


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Rilassarsi, trovare un momento per sé, aprire la mente, arricchirsi e comprendere meglio la vita.…è una bellissima terapia

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