Bruno Pizzul si racconta: “I miei Mondiali, senza urlare”

il 21/06/2010 - Redazione

E’ stato la voce della Nazionale per cinque mondiali consecutivi, da Messico ’86 fino a Corea-Giappone 2002. Nel mezzo centinaia di telecronache, fra cui la tragica finale di Heysel ’85. Uno stile inconfondibile, pacato, elegante, un timbro di voce caldo che sapeva entrare con confidenza e garbo nelle case degli italiani. Bruno Pizzul si racconta a Sienalibri.it nel bel mezzo dei Mondali sudafricani, parlando della sua carriera, di comunicazione e del suo rapporto col territorio senese.

Bruno Pizzul, come si racconta un Mondiale in tv?
“E’ una manifestazione particolarmente importante e, proprio per questo è meno impegnativo fare una telecronaca, dove i giocatori e le squadre sono conosciuti da tutti. Semmai è più difficoltoso nei primi turni dove ci sono squadre che non vediamo spesso, oppure raccontare il torneo giovanile di Viareggio”. Come era una sua giornata tipo nel giorno della partita?
“Facevo una vita normale, compresi i pasti, come tutti i giorni. Ci sono colleghi invece che non mangiano prima della partita, ma non è il mio caso. L’unica preoccupazione era evitare il traffico delle grandi città ed arrivare in tempo allo stadio”.
E’ ricordato per il suo linguaggio semplice con toni sempre contenuti. Dopo di lei è iniziata l’epoca delle telecronache “urlate”. Cosa ne pensa?
“E’ una modalità di comunicazione ormai tipica non soltanto del linguaggio sportivo, ma anche della politica e della tv in generale. La stessa lettura dei titoli dei telegiornali è, se vogliamo, urlata, come se ci fosse bisogno di un modo più ansiolitico di raccontare. Nel calcio il linguaggio del calcio è cambiato anche perché ci sono più immagini rispetto al passato, molte telecamere e tutte vengono usate, quindi il tono più ansioso nel raccontarle è necessario. Ai tempi miei, ma anche a quelli di Niccolò Carosio e Nando Martellini, venivamo accusati di parlare troppo, mentre oggi ci sono telecronache con molte voci ed il ritmo è sempre incessante. Ma forse, ripeto, è una necessità”.
L’Italia ha vinto il mondiale nell’82 e nel 2006, ovvero subito prima e subito dopo la sua “avventura” come telecronista degli Azzurri. Resta il rammarico di non aver potuto mai dire “Italia campione del mondo?
“Forse è più un rammarico di tutti coloro che mi fanno questa domanda, che la mia. Il grande rimpianto e dispiacere rimane per me l’insuccesso della Nazionale a Italia ’90 dove eravamo una squadra forte che giocando in casa avrebbe potuto vincere il Mondiale, anche se ci siamo andati vicini”.
Neanche per Usa ’94, finale persa ai rigori…
“In quel caso meno che mai ho rimpianti, siamo arrivati in finale in maniera miracolistica. Dovevamo uscire nei turni precedenti, ma ci è andata bene”.
Due mondiali vinti dopo scandali calcistici importanti…
“E’ davvero sorprendente e strano che l’Italia abbia vinto i due ultimi titoli di Campione del Mondo dopo scandali epocali; il calcio scommesse dell’82 e Calciopoli. Forse il calcio italiano riesce a emergere meglio a livello tecnico dalle difficoltà e dalle forti pressioni mediatiche”.
Questa Italia di Lippi in Sudafrica come la vede?
“Non abbiamo una qualità eccelsa, ma con una buona corsa, può darsi che andando avanti si possa ottenere un risultato positivo. Difficile ripetere il titolo di Berlino, ma farà meglio di quanto tutti si aspettino. D’altronde anche quattro anni fa non eravamo la squadra sulla carta più forte…”
Nelle oltre duemila telecronache, c’è una partita che ricorda con piacere particolare?
“Avevo provato con la carriera calcistica, giocando nel calcio professionistico con le maglie di Catania e Cremonese, e confesso che provavo una certa antipatia per i cronisti sportivi, forse per i giudizi non molto positivi che mi riservavano nelle pagelle del lunedì. Giudizi che probabilmente erano meritati. Poi partecipai ad un concorso nazionale per radio-telecronisti indetto dalla Rai e lo vinco, e mi sono trovato immerso improvvisamente in un mondo nuovo, in una situazione personale molto particolare ed emotiva rispetto a quello che era il mio quadro psicologico. Con la prima telecronaca Juventus-Bologna (1970, Coppa Italia) cominciò la mia nuova carriera”.
Il 29 maggio 1985 lei era allo stadio Heysel. Che ricordo le è rimasto di quella giornata tragica?
“E’ la telecronaca che più mi è rimasta dentro, nella mia coscienza di uomo. Ero stato inviato allo stadio di Bruxelles per raccontare agli italiani un evento festoso, come è e deve essere una partita di calcio, una finale di Coppa dei Campioni. Invece la tragedia con 39 morti. E’ umanamente inaccettabile”.
Quando ha capito cosa stava accadendo?
“Ho avuto notizie frammentate, sia perché ero da solo e non potevo lasciare la mia postazione, sia perché c’era la necessità di centellinare le notizie a disposizione anche per evitare angoscia e isterie”.
Lei l’avrebbe fatta giocare quella partita?
“No. Come non l’avrebbero voluta giocare i calciatori di Juventus e Liverpool. Ma fu una scelta imposta dalle autorità belghe perché non sapevano come far sfoltire il pubblico senza che accadesse altro, con la tragedia appena avvenuta”.
Lasciamo il calcio: il suo rapporto con la lettura?
“Sono un lettore accanito, ma, lo ammetto, anche disordinato. Nel senso che leggo di tutto e di più ma senza un ordine preciso né per generi né per titoli. Guardo poco la tv e ho un rapporto conflittuale con il computer e con le nuove tecnologie. Preferisco la lettura del giornale cartaceo e di un buon libro da sfogliare”.
Lei è un buon intenditore di vino, spesso è a Montepulciano per il vino Nobile. Cosa apprezza del territorio senese?
“A Montepulciano ci torno sempre molto volentieri per la magnifica ospitalità, è una zona privilegiata, e offre ottime proposte enogastronomiche. Amo il vino Nobile come altre grandi etichette toscane e italiane. Mi diverte molto la grande rivalità enologica fra Montepulciano e Montalcino, su chi abbia effettivamente il blasone più alto”.

Lorenzo Benocci

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