Allarme "sciatteria" linguistica. A lanciarlo è Stefano Bartezzaghi

il 04/04/2011 - Redazione

“Scripta volant” è un aforisma coniato dai linguisti per cercare di spiegare quel continuo bombardamento quotidiano di parole e messaggi cui siamo sottoposti. Con Stefano Bartezzaghi, noto scrittore ed enigmista di fama nazionale, ed ospite che aprirà la quarta edizione de “Le parole, i giorni” (Poggibonsi 8-9 aprile), abbiamo cercato di capire come si muova oggi la comunicazione. Perché da sempre, da quando apriamo il primo libro, si ha la sensazione che le parole ci rimangano dentro, al contrario di un qualsiasi teorema matematico che, se non studiato e ripetuto in continuazione, viene presto dimenticato.

Quale è il perché di questo “fenomeno”? - “Non avevo mai pensato a questo aspetto, non so se sia legato al linguaggio oppure alla letteratura. Si dice comunque che la buona letteratura ha un valore universale. Anche il teorema di Pitagora è universale ma non ha un valore universalmente utile. Un libro invece che parla di esperienze, di fatti e di rapporti umani ha più a che fare con la nostra esperienza quotidiana”.

Oggi la parola ha assunto vari formati e viene veicolata dai mezzi più disparati. Quali sono i diversi “pesi” delle parole? - “Dipende appunto dal mezzo con cui le parole vengono veicolate. Viviamo in un mondo in cui ci sono tantissimi mezzi di riproduzione della parola, sempre più potenti e analitici. C’è un problema di amplificazione del messaggio quindi. Un messaggio che viene ripetuto in continuazione e in grande dappertutto viene poi ovviamente ricordato. Mentre il libro e la comunicazione tradizionale si rivolgevano all’intelletto del lettore, in forma privata e riservata, adesso abbiamo una comunicazione rivolta a tutti (e questo è un bene) che però cerca di convincerci e di “inculcare” i suoi messaggi”.

Libertà di parola e di espressione equivale anche a libertà di pensiero? - “Il problema della libertà di pensiero è che c’è anche la libertà di rinunciare a pensare. Non possiamo costringere nessuno a pensare, di testa propria piuttosto che pensarla come noi. Il problema invece che vediamo è che la comunicazione svolge un ruolo di supplenza. Cioè io ricevo molti messaggi e smetto così di pensare perché mi bastano le opinioni che ricevo. Per esempio dai mass media”.

Ciò non porta ad avere preconcetti e pregiudizi? - “L’effetto è appunto quello. Cioè preparare il terreno su cui arrivano le notizie per farle interpretare in modo conveniente. Lo si vede in tutte le notizie che stanno occupando i giornali in questi giorni, dalla riforma per la giustizia, passando per gli immigrati di Lampedusa per arrivare infine alla guerra in Libia e alla centrale nucleare in Giappone. È proprio evidente oramai quello che è il tentativo di preparare il terreno sul quale si dovrebbe informare la pubblica opinione”.

Quest’anno ricorre il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Quanto la lingua ha fatto o poteva fare per il processo di unificazione? - "Il discorso è molto lungo, e lo affronterò peraltro la settimana prossima a Poggibonsi durante il festival de “Le parole, i gironi”. La lingua non è che “possa fare”, la lingua la facciamo noi, i parlanti. Non è un istituto autonomo che ha qualche potere sulla nostra vita. Siamo noi che la facciamo. L’unificazione linguistica è avvenuta soprattutto con l’avvento della televisione italiana. Insomma, tutta Italia oggi parla l’italiano e questo è un buon risultato. Su come lo parli e quale italiano sia diventa quasi una questione di gusti. Il dato allarmante è la sciatteria linguistica che non viene più avvertita come tale. Insomma, in settimana è volato un “vaffanculo” in parlamento è questa potrebbe essere interpretata come una questione di bon ton. Però ad un livello che diventi sostanziale, non più di forma. Si è persa la sensibilità al contesto linguistico, non c’è più una formalità di comunicazione (che di per sé potrebbe essere contestabile) è quindi oggi ci rivolgiamo ad un professore così come lo si fa con i compagni di classi. Si usa una stessa lingua, “standard”, un po’ per tutte le situazioni”.

Chiudiamo con una domanda di carattere politico. Oggi si dice che la politica è diventata solo frasi fatte e propaganda. Ma gli italiani sono così ignoranti da recepire un messaggio solo sottoforma di slogan? - “La comunicazione politica in realtà non ama l’aspetto programmatico, sebbene cerchi sempre di esaltarlo. In realtà nessuno ascolterebbe un politico che va in tv per spiegare dettagliatamente un programma di governo. L’opinione si forma diversamente, questo è un dato di fatto. Il tentativo di costruire un luogo comune e la frase fatta è il primo passo, forse l’unico, per la costruzione della comunicazione politica oggi”. 

Andrea Frullanti

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