Carla Ammannati

Scritto il 29/12/2020
Questi racconti sono stati il mio libro di Natale, li ho letti in queste sere davanti alla stufa a legna, piacevolmente. Mi sono davvero piaciuti. Mi sono trovata immersa in un caleidoscopio di figure, uomini e donne che uscivano a tutto tondo dalla pagina e dipingevano le loro vite. L’ultima parola usata dall’autore (nell’explicit) è “compassione” e sicuramente questo è il sentimento sotteso a tutta la narrazione. Anche là dove l’ironia sembra prevalere (come nella storia dell’oboista Alessandro e della maestra Lagioia, o del sacerdote alcolista: indimenticabili le lasagne di Luana nel terzetto felice delle domeniche...) è la pìetas che prevale: lo sguardo di com-partecipazione nel dolore o nella felicità dei suoi personaggi. Sono riuscita a sorridere (grande ingrediente nella letteratura l’ironia!) anche nella storia degli anni di piombo (con il giovane Pietro che considera di aver fatto fuori in un colpo solo 3 persone in una...), eppure il racconto si conclude con un arresto e il dolore di una madre. “Maso che sentiva i treni” mi è sembrato struggente e mi ha stretto il cuore anche la figura di Paoletto, l’uomo sconfitto dalla gelosia... La commedia umana, viene da concludere. Forse il mio racconto preferito è quello dello zio Eugenio che regalava i grandi testi letterari a Natale: preferito per il fotogramma indelebile di quei posti apparecchiati a tavola per “gli ospiti illustri”: giusto, così bisognerebbe fare, convitati non di pietra e nemmeno illusori, amici in carne e ossa. E vengo al... “romanzo” finale: la Torre Saracena. Qui il paesaggio si amplia, si arriva non a caso al mare... E qui la storia si fa plurale: conquistano il primo piano una quantità di figure che non possono definirsi principali ma nemmeno secondarie, in primis quel guardiano del faro (figura quanto mai attrattiva, letteraria e magica) che conosce il male d’amore e non se ne dà pace. E poi i familiari del protagonista (quella “notaia” così bene messa a fuoco), e infine... l’amore, l’amore quello vero, Ginevra. Il tutto molto compatto e credibile, perfino quello scioglimento dell’imbroglio sulla proprietà della torre Saracena. Bello che l’uomo si coinvolga nell’attività educativa rivolta agli ultimi della donna, bello il senso di “lontananza” che la vicenda assume rispetto a tutta l’esperienza precedente del protagonista: che inizia ex novo l’avventura del vivere. Insomma, buono. Dimenticavo: quelle Rose che danno il titolo al libro: l’amore, vissuto o immaginato, fa lo stesso, può farti esplodere il cuore.
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