Il sole splendeva irradiando il mondo di luce, Anna percorreva i soliti cinquecento metri che dalla scuola media la portavano a casa. Il paese era piccolo e tutto era ad una distanza raggiungibile a piedi. Assorta nei suoi pensieri, aveva gettato distrattamente lo sguardo verso la vetrina della calzoleria. Ernesto, il proprietario, un brav’uomo sui cinquant’anni, commerciante ma anche calzolaio, pur essendo sempre tanto indaffarato, tutte le mattine, all’orario di apertura e di chiusura delle scuole, si metteva sulla soglia del negozio per salutare i bambini che passavano e a tutti rivolgeva una parola di incoraggiamento. Così aveva fatto anche con Anna, ma la ragazzina era distratta e non aveva risposto al saluto. Il suo sguardo era stato attratto da un paio di scarpette, situate al centro della vetrina, le guardava rapita, erano bellissime, lucide, di un colore rosso fuoco e sembravano proprio della sua misura. Anna se ne era innamorata all’istante, erano splendide, la facevano sognare, sembrava si potessero muovere da sole. Le fissava quasi ipnotizzata, tanto che la voce di Ernesto l’aveva fatta sobbalzare. Persa nei suoi pensieri, Anna aveva sorriso, prendendosi del tempo per ridestarsi da quelle fantasie, sentiva infatti la voce del calzolaio, ma non capiva cosa le stava dicendo.
“Anna, sei sveglia o ti sei addormentata davanti alla mia vetrina?”, le ripeteva Ernesto sorridendole.
“Ciao Ernesto, sono rimasta affascinata da quelle tue scarpette rosse!”
“Sono proprio della tua misura e sono sicuro che ti starebbero benissimo, se vuoi, te le lascio, parlane con mamma”.
“Grazie”, aveva sussurrato Anna correndo via veloce, come un uccellino verso il nido.
Aveva percorso velocemente l’ultimo tratto di strada ed era entrata in casa con il fiato corto.
“Anna!”, l’aveva sgridata la mamma, osservando i suoi capelli scomposti e il leggero rossore sulle guance, “quante volte ti devo ripetere che non si corre per strada, ormai hai quasi tredici anni, sei una signorinetta, non ti puoi comportare come un maschiaccio”.
“Mamma, sapessi, ho visto una cosa bellissima. Nella vetrina di Ernesto sono esposte un paio di scarpette rosse che sono le sette meraviglie, mi piacerebbe tanto averle, me le puoi comprare?”
“Si, le ho viste, sono carine, ma non sono adatte a te, sono di un colore troppo appariscente e poi hanno un po’ di tacco”.
“Ma mamma, il tacco è piccolissimo, appena accennato, sarà a malapena di tre centimetri, il colore poi è meraviglioso…”.
“Anna, non discutere, non sono adatte a te, credimi, dimenticatene, e adesso basta controbattere, metti a posto i libri, vai a lavarti le mani e vieni a tavola che è pronto”.
Anna si era stretta nelle spalle in modo appena percettibile e dopo aver sistemato i libri sulla scrivania della sua camera ed essersi lavata le mani, si era messa a tavola. Non era abituata a disobbedire ai suoi genitori, né tanto meno a imporre la sua volontà. Era un’adolescente timida ed introversa con lo sguardo troppo serio per la sua età. Dopo aver pranzato, Anna si era chiusa nella sua cameretta, il suo regno, e aveva tirato fuori i pennelli e la tavolozza che la nonna le aveva regalato l’anno prima a Natale. Quello, era stato per lei un dono molto gradito, le piaceva dipingere, la distendeva e la faceva sognare. Quando non riusciva ad esprimere se stessa con chi le stava intorno, fossero essi familiari o amici, Anna si metteva a dipingere e questo le faceva dimenticare tutto.
Quelle scarpette rosse, però, non riusciva a dimenticarle e tutte le mattine, sia andando, sia tornando da scuola, si fermava qualche minuto davanti a quella vetrina, a sognare, chiedendo ad Ernesto di tenergliele ancora per un po’ perché, anche se la mamma non era d’accordo, stava mettendo da parte i soldi della paghetta e prima o poi le avrebbe comprate.
L’anno scolastico era passato in fretta, era il suo ultimo anno alle medie, non sapeva ancora quale indirizzo dare alla sua vita, ma di una cosa era sicura, l’anno venturo sarebbe andata a studiare in città, perché nel suo paese non c’erano scuole superiori. Erano quelli gli ultimi giorni di scuola prima degli esami, era maggio inoltrato e la primavera, dopo un inverno lunghissimo che sembrava non finire più, era finalmente esplosa. Il sole splendeva e Anna, percorrendo la strada che da scuola la portava a casa, si sentiva felice, aveva finalmente raggiunto la somma necessaria per comprarsi il suo sogno; cinguettava allegramente con Laura e arrivata davanti al negozio di scarpe, aveva chiesto alla sua amica del cuore di entrare con lei. Ernesto le aveva salutate sorridendo e rivolto ad Anna aveva detto:
“Stanno aspettando te, prendile”.
Anna, con le guance arrossate per l’emozione, aveva afferrato le scarpe e se le era messe ai piedi, una sensazione magica l’aveva pervasa e mentre compiaciuta si guardava allo specchio, aveva chiesto all’amica: “Che te ne pare, non sono forse bellissime?”.
“Si, sono carine, ma sei proprio sicura di volerle comprare? Sono così appariscenti! E con tua madre come farai? Sai che lei non vuole, intendi disobbedirle?”.
Anna si era guardata e riguardata le scarpette ai piedi, tentennava, le piacevano tantissimo, ma non aveva il coraggio di fare una scelta così decisiva. Lentamente se le era tolte e le aveva riposte in vetrina, mentre con uno sguardo supplichevole aveva chiesto ad Ernesto di lasciargliele ancora per un po’ di tempo, perché, prima o poi, lei le avrebbe comprate, ne era sicura.
La scuola era finalmente finita e così gli esami. Era stata promossa e per lei sarebbe cominciata una nuova vita. Tutte le mattine avrebbe preso il pullman per andare in città, dove l’attendevano nuovi amici, una nuova scuola e una vita completamente diversa. Era una bella mattinata di fine giugno il giorno in cui, Anna, vagabondando per il paese immersa nei suoi pensieri, si era fermata come al solito alla calzoleria di Ernesto. Improvvisamente, il suo cuore aveva preso a pulsare in modo accelerato; al centro della vetrina non c’erano più le sue scarpette rosse, freneticamente aveva percorso con lo sguardo tutta la vetrina da sinistra a destra e nuovamente da destra a sinistra, ma delle scarpette rosse non c’era traccia.
Volgendo uno sguardo interrogativo verso il volto di Ernesto che era sulla soglia, si era sentita mancare.
“Mi dispiace, Anna, avrei voluto tenertele ancora per un po’, ma è passata di qui una famiglia di forestieri e la ragazzina che era con loro si è provata le scarpette; le sono piaciute, e i suoi gliele hanno comprate. Mi dispiace, ma d’altra parte, non ti decidevi, sono state in vetrina per molti mesi, mi capisci, ho dovuto venderle”.
C’era nella sua voce una profonda malinconia da cui traspariva un senso di ineluttabilità. La ragazzina era sbiancata in volto, Ernesto le aveva fatto una carezza.
“Ora vado a casa”, aveva detto Anna e tristemente si era avviata verso casa cercando di non piangere.
Rivolgendo un ultimo sguardo alla vetrina ormai insignificante e pensando al suo sogno che era appena svanito, con le lacrime agli occhi si era detta: “finché avrò vita, non vi dimenticherò”. Anna era sconvolta, e prendendo, sconsolata, la via di casa aveva pianto lacrime amare, ma a sua madre non aveva fatto trapelare nulla; come al solito cercava di tenere tutto per sé. Aveva detto soltanto che non si sentiva bene ed era andata subito a letto. Non si era alzata nemmeno per cena e la notte l’aveva trascorsa ad occhi aperti, molti pensieri attraversavano la sua mente annebbiata. La mattina dopo, quando la mamma aveva bussato alla porta, si era alzata e si era vestita normalmente. La sua vita doveva andare avanti anche senza le scarpette rosse.
La vita di Anna era proseguita come quella di tante ragazzine della sua età, aveva frequentato le scuole superiori assieme alla sua amica Laura e si era diplomata. Ambedue si erano innamorate dello stesso ragazzo, il quale, dopo averle frequentate per un po’ di tempo in veste di amico, aveva scelto Laura e i due si erano fidanzati. Anna, si era sentita abbandonata, non solo non era stata scelta, ma la sua amica adesso faceva coppia fissa con il ragazzo, facendo insieme a lui progetti di vita e trascurando lei. Aveva ormai quasi vent’anni e non aveva un ragazzo, l’unico punto fermo della sua esistenza, l’unico porto sicuro a cui attraccare, era la sua famiglia, ma dentro casa si sentiva anche troppo protetta, come dentro ad un guscio troppo spesso. Per questo aveva chiesto ai suoi di prenderle in affitto un appartamentino, alla periferia della città, per poter frequentare l’università e avere così più tempo per studiare. Aveva detto loro che i viaggi la distoglievano dallo studio, ma la verità era che per lei, era stressante sentire sua madre che tutti i giorni le ripeteva la solita frase: “Se non ti dai una mossa rimarrai zitella e sai che nella vita non è bello vivere da soli”.
Che non era bello vivere da soli, Anna lo sapeva, ma d’altra parte sapeva anche di avere un carattere introverso e per lei non era facile fare amicizia. Era incline all’introspezione e questo lato del suo carattere la portava spesso ad isolarsi dagli altri. In breve tempo, Anna, si era laureata; voleva insegnare, ma la strada per l’insegnamento era lunga, così dopo aver vinto un concorso alle Poste, aveva deciso di fare l’impiegata postale. Con la sicurezza di un posto di lavoro, Anna, aveva acquistato l’appartamentino in cui viveva, un piccolo rustico senza grandi pretese, a pochi chilometri dalla città. Il tempo era passato davvero in fretta, rapido e difficile da afferrare, come le pulci sul pelo di un cane. Anna aveva ormai passato i trent’anni, erano trascorse varie stagioni e vari anni ma la sua vita era rimasta più o meno uguale. Il lavoro, con i suoi soliti ritmi, e la sua solitudine, che non era variata, e questo era l’aspetto più tragico di tutta la faccenda.
Da bambina timida e troppo seria per la sua età, era diventata una donna chiusa e riservata, con l’espressione del viso sempre troppo dura per il suo volto ancora giovane. Cambiamenti c’erano stati, ma solo nella vita degli altri e questo la faceva sentire delusa, perché nella sua vita tutto era rimasto fermo. Si era posta tanti traguardi, ma non si erano realizzati, tanti progetti, che erano scoppiati come bolle di sapone. Si sentiva spesso come se fosse l’unico essere sulla terra a non intravedere neanche l’ombra del percorso futuro della sua vita, l’unica a girare, come persa, in un labirinto senza mai trovarne l’uscita. Così, aveva deciso di smettere di sognare, di sperare, di avere degli ideali e vivere giorno dopo giorno senza aspettarsi niente. Aveva scelto di fermarsi, nell’attesa di qualcosa… ma non sapeva precisamente di cosa.
Il tempo passava, ma non succedeva niente e lei tendeva ad incolpare di questo il suo carattere. Fin da ragazzina, la timidezza che in una bambina si giustifica, aveva creato attorno a lei un muro, che con l’andar del tempo si era solidificato. Anche ora, che era adulta, non riusciva ad esprimere apertamente quel suo carattere così sensibile che si nutriva di letture e riflessioni. Anche con i colleghi di lavoro, pur ascoltando con attenzione i loro sfoghi, non parlava mai di sé e questo la isolava, tanto che gli altri finivano per considerarla poco più di una presenza. Sentire di non essere importante per gli altri acuiva la sua solitudine, in più si disprezzava, perché non riusciva a far trapelare la sua personalità interiore che rimaneva intrappolata all’interno di una donna all’apparenza inutile e banale. Si sentiva poco più che un’ombra. Dal carattere chiuso ed introverso, Anna conduceva un’esistenza schiva ed appartata, con il tempo aveva imparato a convivere con la sua solitudine, tanto che le era diventata quasi piacevole. Si era adattata così ad una vita dove, ai sentimenti e alla passione, prevalevano i ritmi e la routine.
Con il tempo si era isolata sempre di più, tutta la settimana lavorava e il fine settimana andava a trovare i suoi genitori al paese. Nelle ore libere dal lavoro amava passeggiare nelle campagne limitrofe alla sua casa, la bellezza della natura la ricompensava di tutte le amarezze della vita, ma Anna non era felice. Gli anni passavano velocemente, era vicino ai quaranta, quando un drammatico giorno di mezz’estate un avvenimento aveva cambiato bruscamente la sua vita. Un terribile incidente automobilistico aveva causato la morte di entrambi i suoi genitori. Anna, oltre al dolore per la perdita, si era sentita in colpa nei loro confronti, non aveva mai avuto molto rapporto con loro; anche se andava a trovarli spesso, non parlavano molto, non comunicavano. Suo padre era un uomo taciturno e severo e pur essendo ormai adulta, lo temeva, e nemmeno con sua madre aveva mai avuto un rapporto sereno, e molte volte l’aveva considerata fastidiosa per il suo modo di farle pesare il fatto che non avesse un uomo al suo fianco.
Ai funerali c’erano state tantissime persone e tutti erano stati molto premurosi e gentili con lei. Molti le avevano chiesto se avesse intenzione di rimanere qualche giorno al paese, ma Anna non se la sentiva di restare e dopo la cerimonia funebre era tornata subito in città. Da quel giorno, non era più entrata nella casa dei suoi genitori, il fine settimana continuava ad andare al paese, ma solo per una breve visita al cimitero, poi tornava subito a casa sua. Anna era in piena crisi, si sentiva sempre più sola e insoddisfatta, si sentiva una donna finita. Dopo un lungo inverno, passato a provare tristezza e rancore nei confronti dell’ignoto, del nulla, un inverno in cui un sole pallido e smorto rispecchiava pienamente il suo stato d’animo, Anna si era fatta coraggio e all’inizio della primavera, aveva preso alcuni giorni di ferie per andare a dare una sistemata alla casa dei suoi.
La casa era abbastanza in ordine, ma aveva comunque bisogno di essere rinfrescata. Anna girava per le stanze vuote come alla ricerca di qualcosa; non sapeva da dove iniziare, si sentiva fuori luogo e pensava al passato, ai suoi genitori, alla sua infanzia. Si sentiva persa e non aveva voglia di fare niente, così aveva deciso di uscire e fare due passi per il paese. Era una tranquilla giornata di aprile, passeggiando lungo la via principale, immersa nei suoi pensieri, si era fermata, quasi meccanicamente, davanti alla vetrina della calzoleria e il suo cuore aveva preso a batterle forte nel petto. Al centro della vetrina, in bella mostra, c’erano un paio di scarpette rosse, uguali, identiche, spiccicate a quelle che lei aveva tanto desiderato da ragazzina. Senza pensarci neanche un attimo, era entrata.
“Ernesto, com’è possibile? Ci sono di nuovo le scarpette rosse e sono proprio uguali!”.
“Non sono Ernesto, mi chiamo Alfredo”, una voce giovanile di un uomo più o meno della sua età, l’aveva costretta ad alzare lo sguardo.
Anna, sollevando gli occhi dalla vetrina, aveva visto Ernesto, un Ernesto giovane, come quando lei era bambina, che la guardava con curiosità.
“Sei Alfredo, il figlio di Ernesto, lo so. Scusa, ma ti avevo scambiato per tuo padre, gli somigli tantissimo ed io per un attimo sono tornata indietro nel tempo”.
“Ciao Anna, mi fa piacere che ti ricordi di me, comunque, se vuoi salutare mio padre, vieni, è nel retrobottega”.
Con in mano un paio di scarpe a cui stava rifacendo i tacchi, Ernesto, stava seduto su una sedia, di fronte al suo banchetto da ciabattino, sul quale erano disposti tutti i suoi strumenti. I capelli erano grigi e il volto un po’ incavato, ma i suoi occhi erano vivi ed allegri come quando era giovane. Non appena l’aveva vista le aveva sorriso, dicendole: “Sapevo che prima o poi saresti venuta a prenderle. Adesso provatele e portale via!”.
Alfredo gliele aveva offerte delicatamente ed Anna sognante le aveva calzate. Non appena le aveva messe ai piedi, le era sembrato di sentirsi un’altra persona, così senza togliersele, aveva messo frettolosamente le vecchie scarpe nella scatola, aveva pagato ed era corsa via. Era felice come una ragazzina, aveva finalmente preso la decisione giusta, si sentiva euforica e strana. Tornata a casa, ricca di un nuovo vigore che quelle scarpette ai piedi sembravano infonderle, si era messa subito a risistemare l’abitazione. Aveva anche raccolto tutti gli abiti ancora buoni dei suoi genitori in un grosso scatolone e lo aveva portato alla casa di riposo del paese. Alla sera, stanca, ma soddisfatta, decidendo di andare a letto, si era svestita e si era messa il pigiama, ma al momento di togliersi le scarpe aveva esitato. Non voleva togliersele, le piacevano così tanto che aveva deciso di dormirci. La mattina dopo si era svegliata euforica, nella notte aveva fatto tanti bei sogni e si sentiva felice e piena di voglia di vivere. La sera prima, nel riordinare la casa, aveva trovato i vecchi colori di quando era ragazzina e adesso le era tornato il desiderio di dipingere. Le era presa una smania incredibile e senza pensarci un attimo aveva iniziato a lavorare su una tela. Si sentiva così carica dentro che voleva creare qualcosa. Aveva sgobbato tutto il giorno come un’ossessa, senza nemmeno mangiare. Con il colore si era sporcata sia le dita che gli abiti, ma alla fine aveva guardato il suo quadro soddisfatta.
Aveva dipinto una ballerina, con le scarpette rosse, mentre faceva la piroetta. Era davvero molto bella, morbida e sinuosa, sembrava quasi che stesse per prendere il volo. Anna aveva prolungato i suoi giorni di ferie, era rimasta a casa dei suoi e aveva riordinato lo studio del padre trasformandolo in laboratorio di pittura. Era come pervasa da una strana ebbrezza e voleva solo dipingere. Si sentiva finalmente realizzata, piena dentro e pronta a trasmettere agli altri ciò che provava. Dopo aver dipinto molti quadri, tutti molto belli ed espressivi, le cui figure sembravano palpitare sulla tela, Anna, incoraggiata anche da Alfredo, con il quale aveva intrecciato una tenera amicizia, aveva deciso di organizzare una mostra di pittura in città. La mostra era andata così bene che ne erano seguite molte altre. Anna aveva così lasciato l’arido lavoro alle Poste per dedicarsi completamente alla pittura.
Era finalmente felice, volete sapere il suo segreto? Le sue scarpette rosse. Perciò, anche voi, cercate le vostre scarpette rosse e se le trovate non lasciatevele sfuggire!
II racconto rientra nell'iniziativa di Toscanalibri.it
"Racconti di scrittori toscani per i giorni del Coronavirus".