Allo illustrissimo et eccellentissimo Signore il Signor Cosimo De' Medici Duca di Fiorenza Signore mio osservandissimo... poi che la Eccellenza Vostra, seguendo in ciò l’orme degli illustrissimi Suoi progenitori e da la naturale magnanimità Sua incitata e spinta, non cessa di favorire e d’esaltare ogni sorte di virtù dovunque ella si truovi, et ha spezialmente protezione dell’arti, del disegno, inclinazioni agli artefici d’esse, cognizione e diletto delle belle e rare opere loro, penso che non Le sarà se non grata questa fatica presa da me di scriver le vite, i lavori, le maniere e le condizioni di tutti quelli che, illustrissimi e degni di fama, si sono imbattuti nella terribile sciagura della pestilenzia detta Covid-19 eziandio Coronavirus. Questa è l’introduzione che Giorgio Vasari, amico mio carissimo, aveva scritto, insieme ad alcune brevi istorie sulle vite di persone famose, non solo fiorentine o toscane, come avrebbe desiderato il Duca. Il Vasari gli fece presente che siamo nell’era della globalizzazione e quindi bisogna allargare i confini, e pare che il Duca replicasse “lo saprò io, che noi Medici s’aveva banche con filiali in tutta Europa e s’è prestato fiorini, ducati, scudi a tutti i sovrani del Continente, e si mandavano le lettere di credito sino a Londra, nonostante la Brexit, insomma s’è fatto finanza talmente bene che s’è insegnato a Wall Street e a tutti i Soros del mondo”. Il Vasari, per non offendere la suscettibilità del suo Signore, decise quindi di inserire nel volume biografie di uomini illustri di tutto il mondo e di tutte le epoche, ma nel PDF, che mi ha trasmesso per un primo editing, ce ne sono soltanto alcune. Non completò l’opera perché già vecchio, con il sistema immunitario depresso, purtroppo non riuscì a salvarsi. Quando stava bene, aveva scritto gli appunti che riporto nelle pagine seguenti, brani brevi, ma significativi. Aveva avuto la buona creanza di dedicarle all’attuale sindaco di Firenze, Cosimo XXVIII de’ Medici che era succeduto a Matteo de’ Renzi, detto il Magnifico, dittatore illuminato, che aveva regnato in precedenza per un breve periodo, in tempo per coniare un motto che oggi, al tempo del coronavirus, calzerebbe a pennello: “Chi vuol esser lieto sia, di doman non c’è certezza”. Adesso, nell’anno di disgrazia - bisestile e con la paura dello schianto sulla Terra di un meteorite – duemilaventi, mi accingo a rendere noto il file che il Vasari mi ha trasmesso per la correzione, ma lo pubblico, per suo rispetto, integralmente e quindi chiedo al lettore di scusare eventuali errori, omissioni o inesattezze.
Charles Baudelaire non morì nella clinica del Dr. Duval, nel distretto di Chaillot a Parigi, ormai gravemente debilitato a causa del coronavirus, come riportato da tutti i giornali e dai social - erano banali fake news. Il Vasari sostiene, ma è solo un’ipotesi non verificata, che il poeta si sia tolto la vita con un’overdose di mercurio, utilizzato per curare la sifilide. Le ragioni dell’insano gesto sarebbero due, secondo il Vasari: le insopportabili pene per una ballerina di cui si era perdutamente innamorato dopo averla vista danzare su un balcone, ma soprattutto perché non sopportava più il regime d’isolamento imposto dalle norme di sicurezza a seguito dell’epidemia. Il povero poeta, abituato fin da giovane a vagare oziosamente per le vie di Parigi, da un bistrot all’altro, non tollerava lo stress quotidiano di esibire, a ogni controllo dei poliziotti, il modulo di autodichiarazione, soprattutto non sapeva in anticipo cosa scrivere nel riquadro “lo spostamento è iniziato da ... con destinazione a ....” perché lui, per definizione, era un flâneur, un uomo che vaga senza meta, impegnato soltanto nell’osservazione del paesaggio e della vita cittadina. Nei primi giorni, per la sua indole perfezionista portata sino all’eccesso, aveva tentato di mettere ordine in tutti quei moduli che scaricava dal sito del governo e stampava in carta pergamenata. Aveva trovato, nella sua sterminata biblioteca, un bellissimo raccoglitore in pelle di daino con fregi in oro, nel quale riponeva, con maniacale precisione, i vari moduli che si accumulavano sempre più, visto che il governo ne cambiava uno al giorno.
Cominciava a provare piacere a questa nuova mansione – la catalogazione nel raccoglitore dei moduli di autocertificazione – al punto che il suo culto ossessivo per la forma, lo aveva spinto a farne un oggetto feticistico, che teneva sempre vicino a sé, al quale dedicò molte poesie. La sua precisione divenne maniacale, appuntava con scrupolo gli spostamenti, dal Café Le Divan Le Peletier, dove poteva ancora incontrare i suoi amici artisti e intellettuali, al Café de Madrid in Boulevard Montmartre. Dopo la chiusura di questi locali, gli habitués si spostarono in uno ancora aperto, in barba alle norme restrittive, rischiando sonore sanzioni, il Café de Bade, nel Boulevard des Italiens. Quando governo centrale e poteri locali riuscirono a mettersi d’accordo e fu emanata la disposi zione che imponeva la chiusura definitiva di tutti i locali, per Baudelaire e i suoi compagni di sbronze iniziò un periodo davvero triste, fatto soltanto di aperichat, nelle loro fredde e umide stanze, da soli. Con quel tormento esistenziale che non lo abbandonava mai, Baudelaire ricordava con nostalgia i chiassosi ristoranti e le taverne brulicanti di stupende donne, dove consumava giornalmente i suoi pasti. Ricordava le passeggiate per rue de l’Ancienne Comédie, dove c’era il Restaurant Pinson, oppure quando si spostava nel XIX arrondissement, per entrare a bere una birra alla Brasserie des Martyrs o a mangiare una pizza alla Taverna Saint-Austin, della quale faceva ottime recensioni, spesso delle vere e proprie poesie, su Trip-Advisor. Il Vasari ritiene che questo fosse per Baudelaire un periodo molto fecondo da un punto di vista artistico, scrisse poesie memorabili, come La Muse Malade o Alchimie de la doleur.
Quando poi s’inasprì la stretta governativa e gli arrondissements divennero uno dopo l’altro zone rouge e furono proibiti gli spostamenti e gli assembramenti, Baudelaire si rifiutò di aderire al movimento #jeresteàlamaison (#iorestoacasa) e continuò a passeggiare per le strade di Parigi, semideserte e troppo silenziose per i suoi gusti. Nei giorni successivi perse interesse a camminare perché non c’era più nessuno da osservare, e Parigi, poiché erano anni che la studiava come un botanico da marciapiede, la conosceva palmo a palmo. Il colpo di grazia gli fu dato, secondo il Vasari, quando fu deciso di impedire gli spostamenti se non per motivi di reale e dimostrabile necessità, in netta contraddizione con la sua indole, il flâneur è pigro e aborrisce l’urgenza e la necessità, non ha altro da fare che bighellonare da un posto all’altro. Per superare questa malinconia, decise di andare ad abitare all’Hotel Dieppe, in rue d’Amsterdam, ancora aperto perché ospitava le cassiere del supermercato di fronte e i fattorini di Amazon che consegnavano a casa la merce ancora non proibita. Nonostante le restrizioni usciva lo stesso, il desiderio di andare a zonzo era impellente, allora prendeva la linea metro 14 salendo alla stazione di Saint Lazare e scendeva quando sapeva di essere in prossimità di un parco o di un giardino.
L’imposizione di non uscire provocò in lui una sorta di ribellione psicologica, così andava fuori a passeggiare sempre più spesso, rifiutandosi di compilare il modulo. Accumulò migliaia di euro di multe, questa la vera motivazione, sostiene il Vasari, del suo proverbiale mal du vivre. A corto di risorse economiche decise di rinchiudersi in albergo, basta fare il flâneur, mi dedico alla poesia, e si mise a scrivere con infaticabile vigore una gran quantità di componimenti che raccolse nel volume Le virus du mal. Nei rari momenti di pausa, si sedeva, in compagnia della sua immancabile coca-cola all’assenzio, nel balcone al quinto piano della sua camera d’albergo, dove aveva una splendida vista di Parigi dall’alto. Inventò anche un nuovo tipo di osservazione, le flâneur-drone. Il Vasari cita alcune poesie divenute molto note, scritte in questo periodo, come A celle qui est trop gaie, dedicata a una ragazza che abitava in una camera attigua alla sua e che passava il tempo da reclusa cantando per tutto il giorno, o come Le Mort des Amant , dato che gli uomini non potevano più spostarsi per raggiungere le loro amanti segrete.
Il Vasari infine dichiara che il punto di svolta nell’illustrissima vita di Charles Baudelaire avvenne quando, in un giorno che gli ospiti dell’albergo Dieppe avevano deciso di fare un flash mob, nel balcone di fronte al suo, una certa Jeanne Duval, si mise a ballare una sensuale danza haitiana. Baudelaire ne rimase immediatamente affascinato, al punto che scrisse che “sentiva il profumo del suo seno” anche se dal suo balcone a quello di Jeanne c’erano almeno quindici metri di distanza. Nacque un amore intenso e passionale, fatto di sensazioni forti come aperichat in video conferenza Zoom Meeting, danze sul balcone, click day, canti da finestra a finestra. Baudelaire le inviava giornalmente decine di poesie per mail, registrava video dove declamava i suoi versi, oppure li scriveva su un lenzuolo che appendeva al balcone. Purtroppo questo, che per il Vasari fu sicuramente il periodo più bello per Baudelaire, durò soltanto poche settimane. Jeanne Duval risultò positiva al coronavirus, fu dapprima messa in quarantena, poi si aggravò e fu internata in un container su un ponte di barche sulla Senna, costruito in una notte dall’efficiente esercito francese. Baudelaire temette di non rivedere mai più la bellissima ballerina e la depressione aumentò sino al punto fatale di non ritorno. Il Vasari ci racconta che una notte, in preda a una profonda disperazione, il poeta si uccise col mercurio del termometro con cui si misurava la febbre d’amore per Jeanne.
In allegato la versione integrale de “Le illustrissime vite del Vasari al tempo del Coronavirus” che rientra nell'iniziativa di Toscanalibri.it
"Racconti di scrittori toscani per i giorni del Coronavirus"