Quella sarebbe stata la sua ultima vacanza con i suoi amici, da single si intende, dopodiché avrebbe messo la testa a posto. Non aveva alcun dubbio su questo mentre riempiva la sua affezionatissima sacca di tela blu, la stessa che lo aveva accompagnato in tutti quegli anni nelle sue avventure. In realtà la prospettiva per quell'estate era di una vacanza tranquilla: sole, mare e qualche discoteca la sera. Niente lanci dal paracadute, niente scalate su alte montagne, niente corsi di sopravvivenza. Stavano invecchiando lui e i suoi tre migliori amici, inutile negarlo, e forse era il caso di cominciare a ridimensionare qualcosa nella loro vita.
Partì così dall'aeroporto di Pisa, consapevole e anche un po' rassegnato del fatto che, al suo ritorno, avrebbe dovuto dare una risposta definitiva all'ultimatum di Vale, la sua cara vecchia amica Vale. L'unica che in tutti quegli anni, nonostante i casini, non l'aveva mai abbandonato. L'unica che aveva continuato a stargli accanto, in modo costante ma mai pressante, anche se lui l'aveva trattata male in più di un'occasione. L'unica che aveva avuto il coraggio di ammettere di essere innamorata di lui e, soprattutto, di essere disposta ad aspettarlo. Era un tipo difficile da gestire Christian, lo sapeva benissimo. Ma lui, lui la amava? Probabilmente no, probabilmente quello che provava nei suoi confronti era solo un grande affetto intriso di una forte stima, misto a una buona dose di riconoscenza. Qualcosa che però, a suo avviso, avrebbe potuto tranquillamente sostituire l'amore.
Di avventure ne aveva avute fin troppe, alcune anche di una sola notte: facili, per nulla impegnative, sicuramente poco pericolose per il cuore. Lui e Vale invece erano amici da una vita, ognuno conosceva pregi e difetti dell'altro e li accettava e, se anche il suo non era proprio amore, magari con il tempo sarebbe potuto diventarlo. Inutile quindi pensarci troppo, la risposta da darle poteva essere solo una. Un sì ad una vita tranquilla, passata tra le mura di casa, magari con qualche marmocchio a rallegrarla quando fosse arrivato il momento. Una quotidianità calma, pacata, dritta come una linea retta.
Di scossoni in fondo ne aveva avuti fin troppi nella sua esistenza, era arrivato il tempo di tirare i remi in barca e lasciarsi cullare dal tranquillo e lento moto delle onde. Si era sempre tenuto alla larga da quegli amori che arrivano all'improvviso, ti attraversano e poi se ne vanno dopo averti lacerato l'anima, facendoti sentire spoglio e incerto come una qualunque zattera durante una tempesta. Forse solo una volta si era sentito così, e gli era bastata. Era ancora un bambino all'epoca e non riusciva neanche a dare un nome a quel turbinio che sentiva dentro ogni volta che vedeva quella bambina a scuola. Come si chiamava? Possibile che se ne fosse davvero dimenticato? Solo un'immagine davanti ai suoi occhi era ancora nitida: una testolina rotonda, incorniciata da corti capelli castani e luminosi occhi verdi incastonati nel mezzo. E una catenina scintillante al collo, molto particolare, da cui non si separava mai.
Avevano fatto insieme l'ultimo anno delle elementari, in assoluto il suo anno scolastico più bello. Poi lei si era dovuta trasferire a causa del lavoro di suo padre. Da quel momento, nonostante le promesse, nessuna cartolina, nessuna lettera, nessuna telefonata. Solo un gusto amaro in bocca che poi, con il tempo, anche se Christian non avrebbe saputo dire quando di preciso, era sparito. Christian aveva dimenticato tutto: il suo odore, il suono della sua voce, le emozioni che gli suscitava e anche il suo nome a quanto pareva. O, semplicemente, aveva riposto quel ricordo, bello quanto fastidioso in un certo qual modo, nell'angolo più nascosto di sé, così nascosto da non riuscire più a trovarlo.
Atterrarono a Palma verso le 13.30. L' aria umida e l'alta temperatura di quel giorno, oltre a rendergli difficile la respirazione, lo avevano fatto sudare in un modo incredibile. La camicia di lino bianca che indossava gli si era completamente attaccata addosso, lasciando davvero poco all'immaginazione. Fuori dell'aeroporto un taxi li aspettava, pronto per portarli in hotel. L'albergo sorgeva su di una piccola collina, a strapiombo sul mare. Una struttura moderna, luminosa, posta all'interno di un parco di palme con due grandi piscine a degradare. La camera, neanche a dirlo, era meravigliosa. Ampia, spaziosa, ammobiliata con gran gusto e con una splendida vista mare. A Christian era toccata la n.333. Il 3, il suo numero fortunato, da sempre.
Posò le valigie, si guardò attorno e poi d'impulso aprì la finestra. L'aria continuava ad essere calda, ma molto più respirabile. Si tolse la camicia, ancora zuppa, e si sedette su una delle poltroncine ricavate con dei bancali verniciati di bianco. Si sentiva un po' infastidito, ma non riusciva a capirne la ragione. Era in vacanza con i suoi amici e dunque? Forse il pensiero di Vale? Ma non era un vero e proprio fastidio quello che sentiva, piuttosto una forte sensazione che qualcosa stesse per accadere.
Rientrò in camera cercando di scrollarsi quel sentore di dosso, si fece una doccia veloce e si preparò per uscire. L'appuntamento con gli altri era al bar dell'hotel e lui era in ritardo come al solito. Sovrappensiero, sguardo rivolto a terra, si chiuse la porta alle spalle e si avviò verso le scale. Appena girato l'angolo e messo il piede destro sul primo scalino, una spallata lo ridestò dai suoi pensieri. Stava per dire un “scusi” o un infastidito “ehi!”, ancora non aveva deciso, quando i suoi occhi si posarono su una ragnatela. Una catenina a forma di ragnatela, appesa ad un collo esile e molto sensuale. “Carolina...”. Quel nome, di cui era convinto essersi completamente dimenticato, gli salì alle labbra in un sussurro. Era lei, era sicuro che fosse lei anche senza aver portato lo sguardo sul suo viso.
Nello stesso momento anche Carolina ebbe un sussulto. Si bloccò e prima ancora che Christian alzasse gli occhi, lo riconobbe. Non era cambiato poi molto: stesso modo di portare i capelli in avanti, dietro ai quali nascondere gli occhi e l'anima, stesso modo di arrotolare le maniche della camicia, una a metà avambraccio e l'altra appena più su. Anche a dieci anni faceva così. In quell'istante sarebbe potuta succedere qualunque cosa: avrebbero potuto far finta di niente oppure congedarsi con un semplice “scusi”, senza indugiare lo sguardo sull'altro e proseguire così ognuno per la propria strada.
E invece, anche se erano passati venticinque anni dall'ultima volta in cui si erano visti, era bastato mezzo minuto perché tutto tornasse improvvisamente a fluire, ricordando loro che ci sono sorrisi lucenti che non si cancellano, persone che non si che non si dimenticano e legami trasparenti ma forti come quella ragnatela che non si spezzano.
Il racconto rientra nell'iniziativa di Toscanalibri.it
"Racconti di scrittori toscani per i giorni del Coronavirus"