Sentivo da tempo che non era il mondo di una volta, che gli uomini non erano più quelli di una volta, che la ragione e il senno non erano più particolarità umane. Volontà di abusare dell'altro e di fargli male, fisico o psicologico non importa! Omicidi. Suicidi. Malesseri sociali talvolta invalidanti. Fratello contro fratello. Parole vuote pronunciate come se avessero un peso. Sentivo che non ero più adeguata a questo mondo. All'improvviso era diventato caldo, ma non quel caldo che dona sollievo alla pelle nuda esposta al sole; all'improvviso era diventato un caldo rovente come se fosse uscito dal cono di un vulcano, dove si era sedimentato sotto la cenere e poi era stato spinto fuori dalla forza della montagna infuocata. A pensarci bene, non era stato all'improvviso. I segnali li avevo avuti. Avevo ricevuto dei messaggi anomali, quei segni che si percepiscono dentro, che fanno male e ti chiedi perchè. Terremoti. Maremoti. Naufragi. Frane. Sofferenza. E, nel quotidiano. Offese. Impazienza. Intolleranza. Indifferenza. Disaffezione. Cinismo. Freddezza. Falsità, la più ripugnante. E, poi... il vuoto intorno per invidia, bisogno, disamore.
Il nostro pianeta? Anch'esso distrutto per cupidigia, disonestà, lussuria. Benvenuti nel XXI secolo. Benvenuti nel secolo di una nuova pandemia: il virus assassino. Mi chiedo che cosa sto imparando da questo momento di vita forzatamente casalinga. Ho paura? Di che cosa? Riusciremo a ritornare alla normalità? Riusciremo a guardare l'altro senza sospetto? Riusciremo a stare in compagnia con la spensieratezza di prima? Del tempo in cui l'uomo ormai aveva raggiunto il limite di tutto, viveva come se fosse padrone di ogni cosa, anche dei sentimenti altrui, senza più dignità, coraggio, responsabilità, attenzione. Ho paura. L'isolamento forzato induce in tentazione. Crea conflitto. Genera insofferenza. Occorre ripetersi che tutto ha una fine e la fine porta con sé un nuovo inizio. Occorre lasciare andare, perchè il trattenere è uno sforzo enorme che porta all'agonia. E così, come al tempo di Noè, fu costruita un'arca-astronave per ospitare un esemplare di ogni specie di uomo, bianco e nero, giallo o rosso, un maschio e una femmina e assicurare la rinascita sul pianeta spopolato dalla pandemia. Gli studiosi avevano previsto un tempo lungo e breve, insufficiente per salvare i ricordi di una vita, ma adeguato alla sopravvivenza della colorata specie umana.
Andrea iniziò a produrre adrenalina, la spacciava all'angolo della via Buontalenti. Andava a ruba! Era di buon taglio e i danni sul sistema nervoso erano minimi. Per andare avanti occorrevano dosi giornaliere, altrimenti l'uomo e la donna finivano per accartocciarsi come foglie secche prima ancora della morte fisica. Io ero una consumatrice attenta di adrenalina, ne facevo il giusto consumo per non sentirmi sopraffatta e restare vigile. Bisognava esserlo per non soccombere. Amavo Andrea, conosciuto tanti anni prima e che avevo iniziato a frequentare, pur essendo già impegnata, si dice così, in una relazione consumata a suo tempo e trasformata in un comodo rifugio. C'era stata quasi subito una sintonia di sguardi e poi di sensi e di pelle e di spinte interiori a non fermarsi. Andrea si guadagnava da vivere in quel modo: spacciando qualcosa che regalava la possibilità di avere la forza di andare avanti. È questo modo di lavoro alternativo gli permetteva di andare avanti a sua volta. Tra i due è stato sempre il più apparentemente distaccato per la paura di scoprirsi vivo e felice, vivendo nella modalità “incognito” e navigando sotto mentite spoglie. Solo con me riusciva ad essere sé stesso, cioè, un altro se stesso, vivo e felice, ma non ancora propriamente lui. Avevo comunque imparato ad allontanarlo e a nascondermi al suo sguardo segugio, sempre pronto all'allarme per controllare il mondo circostante, passando dallo sguardo di un gatto allarmato, a quello di un gatto sornione e curioso. In questo periodo, nulla lo avrebbe distolto dalla paura della morte. La situazione era davvero pericolosa e tutti saremmo stati colpiti. Era una questione di tempo. Era una questione di luogo. Era una questione di fortuna.
Intanto, tutto era pronto. Il virus era pronto e stava giocando la sua partita. Ancora una volta, la sfida con l'invisibile sarebbe stata audace. Ancora una volta, gli uomini di fede avrebbero dato il meglio di se stessi, senza timori. Ancora una volta, avrei aiutato il mondo a camminare nella giusta direzione. Io. Io che sono l'ombra della vita allungata sull'asfalto caldo, alla luce del tramonto.
Ricordo che la selezione ebbe inizio una mattina di primavera. Al suono della sirena tutti ci presentammo sotto le mura che avevano innalzato nel momento in cui il virus aveva preso il sopravvento. Anche io e Andrea eravamo lì. Naturalmente distanti. Solo due tra i presenti sarebbero stati presi per essere trasferiti. Un maschio e una femmina. Ci facevano avanzare come animali da macello. Percorsi già tracciati, visite, domande e risposte taciute o sussurrate con semplice deferenza.
La selezione era solo a metà del suo svolgimento. In fila, scambiai degli sguardi con un uomo della fila accanto più composta e scorrevole della mia. Era alto, bruno e forte. Nei suoi occhi l'angoscia del momento, ma la dignità di colui che avrebbe lottato per sé e per i suoi cari. In questo momento storico, i legami di sangue erano quelli che contavano. Non c'era da fidarsi. Ormai si era diffuso un generale e profondo senso di sfiducia intorno alla stabilità del sistema e un senso di scontento e delusione per tutto il resto.
Allora? Io e Andrea? Cosa ne sarebbe stato del nostro sentire? Che cosa avremmo fatto? Io avevo il mio piano d'azione! Avrebbe corrisposto con il suo? Certo, in cuor mio desideravo che si avverasse quanto vivevo e speravo, come se si fosse aperta in quel momento la possibilità di esprimere tutto quello che avevo sempre voluto ottenere ma mai osato chiedere. Chi non spera? E Andrea? Andrea che cosa stava pensando? Avrebbe voluto vedermi? Aveva già un suo intento? Ma soprattutto, si fidava di me? Per il momento era solo un'interrogazione che rivolgevo a me stessa per cercare di capire qualcosa del nostro legame. Intanto, era un legame? La necessità di rispondere a ciò che avvertivo come incertezza, aggiungeva solo un disagio e uno sforzo in una situazione già drammatica. Quindi, non era il caso di insistere.
Era giunto il mio turno. Mi fecero spogliare: ascolto del respiro, ascolto del battito cardiaco, riscontro dei riflessi e prelievo per escludere possibili malattie o infezioni. Poi, attraverso un corridoio, non visibile dall'esterno, c'era la stanza degli esami mentali, quiz e domande, giochi logici. Non c'era una selezione immediata e definitiva, a quella ci avrebbe pensato il tempo! Ora i prediletti sarebbero stati due; due per l'arca-astronave. Che poi, avrebbero dovuto superare un'altra e più dura selezione. Quella tra gli scelti. Questo era l'orrore. La vita continuava come al solito. Nessuno parlava di morte. Ma di morte si trattava. Vicina per i più deboli, lontana per i più sani.
Vivere nell'epoca della distanza. Nei giorni che seguirono la selezione, lo scompiglio fu maggiore. Si respirava come se non ci fosse il tempo sufficiente, istanti senza fiato che cadenzavano il lavoro, la cura del quotidiano. Era stato difficile abituarsi. Una parte di consapevolezza stava con il respiro per semplificare la mente. Andrea, oramai, si era chiuso nel suo egoismo di uomo che ha il controllo di sé e degli altri e volutamente aveva perso la dimensione più intima dell'essere vivi: saper riconoscere nell'altro l'unicità e saper riconoscere in me la compensazione che non aveva mai avuto. Lui confondeva l'attaccamento con qualsiasi atteggiamento di richiesta di cura, aveva dimenticato che esiste la possibilità di essere nudi, se stessi con chi riteniamo speciale perchè non tutti possono essere speciali. Non tutti.
E,così i giorni iniziarono a trascorrere nell'ansia della diffusione del virus. La gente non era più la stessa. La distanza imposta cominciava a dare i suoi frutti. Il cuore dell'essere umano era diventato arido e lo sarebbe diventato sempre di più, fino a trasformarsi in un deserto di sabbia sterile. Le oasi avrebbero generato qualche sollievo e ricordato a chi di buona volontà la forza della gentilezza di un tempo remoto. Ma ora, gli uomini dovevano confrontarsi con gli equivoci del proprio coraggio e della propria vigliaccheria. Ora, dovevano trasformare la propria personalità in modo tale da riuscire a trasformare la società stessa, in una società diversa e veramente umana, dove la diffidenza non doveva dominare gli uomini, ma essere considerata solo in funzione di effettive esigenze. Ora e solo ora, gli uomini potevano migliorare se stessi dal di dentro. Questo pensavo mentre mi recavo a casa. E pensare che avrei voluto solo essere speciale per lui. Solo. Una risata aperta mi scappò senza controllare per la strada e qualcuno si fermò a guardarmi. Comportamenti insoliti procuravano sospetti e paura. Nessuno poteva essere incolpato di ciò. Il sistema aveva voluto che si generasse questo clima di dolore e di solitudine, di terrore psicologico.
La distanza, una volta tornata la normalità, non avrebbe portato ad alcun avvicinamento. L'esperienza vissuta ci avrebbe allontanato ancora di più, ci avrebbe fatto chiudere, sigillare nelle nostre case alveari e lì lentamente imputridire. In anima e corpo. Il mio pensiero era sempre e ancora per Andrea. Non eravamo riusciti a tessere alcuna tela che ci unisse. Eppure l'uno sentiva l'altra e viceversa. Ma la paura fa rinunciare anche ad una vita desiderata, ad un sogno, ad un amore forse speciale. Il virus aveva fatto la sua parte e seguitava nel suo intento: rendere più prepotenti tutti, più egoisti e isolati, pronti a eliminare il proprio simile come in un videogame.
Il racconto rientra nell'iniziativa di Toscanalibri.it
"Racconti di scrittori toscani per i giorni del Coronavirus"