Cronache dell’anno 2020

Luca Martinelli

31/03/2020

Una tra le ultime creature a percepire l’anomalia che regnava sulla terra fu la talpa. La primavera, anche se con un po’ d’anticipo rispetto al normale, l’aveva spinta a risalire dal fondo della tana in cui s’era rifugiata per l’inverno. Ma, fatto capolino sul mondo esterno (il giardino d’una villetta alla periferia della città, visto che era lì che s’apriva la porta d’ingresso della sua galleria sotterranea), il suo muso appuntito aveva avuto un sussulto di sorpresa. Il dono della cecità, unito a quelli assai sviluppati dell’olfatto e dell’udito, le aveva infatti rivelato che il mondo era profondamente cambiato. Ne restò stordita. Incredula. Con le larghe e massicce zampe anteriori si tappò le orecchie e strinse, fino a serrarle, le narici del naso rosa e la bocca. Restò così, completamente isolata dal mondo, finché ebbe l’impellente bisogno di riprendere fiato. Dilatò quindi di nuovo narici e bocca e allontanò le zampe dalle orecchie. Non ho sognato, pensò mentre pian piano faceva passare l’affanno; No, non ho sognato: il mondo è davvero cambiato.
 
Gli indizi, del resto, erano molteplici: il profumo dei fiori era intenso e quello dell’aria fresco, il cinguettio degli uccelli quasi assordante, il cri-cri del grillo e il frinire della cicale ben udibili, il ronzio dell’ape penetrante, lo stormire delle foglie (come l’alito lievissimo del vento) ben avvertibile. Sentì anche uno strano palpito mai sentito fino ad allora; ma, ripensando ai racconti della sua bisnonna, che gliene aveva parlato come di un pulsare sommesso del cuore, non impiegò poi molto a capire che si trattava del battito d’ali di una farfalla. In passato, prima di quel momento esatto in cui ora ascoltava e odorava il mondo esterno dal buco d’ingresso della sua tana, celata al centro della striscia di quaranta centimetri di terra che dividevano il tronco rugoso di un ulivo e la parete ruvida e bitorzoluta del muro di cinta del giardino, tutto era diverso. In passato, quando il suo muso puntuto si affacciava all’aperto, quegli odori e quei suoni meravigliosi era sbiaditi, confusi, alcuni quasi inudibili. Il profumo dei fiori era blando; l’alito delle brezze leggere, muto; il battito d’ali della farfalla, taciturno; il cinguettare degli uccelli, flebile e lontano; la voce del grillo e della cicala, impercettibile.
 
Altri odori e rumori, invece, erano prepotenti e pervadenti. Dalla strada che correva al di là del muro, fino alla primavera precedente, giungeva uno strano e persistente ruggito, mentre l’aria sapeva di acre e puzzava di putrido, il terreno del giardino rimbombava sotto i passi di esseri ai quali i cani, che con quegli esseri vivevano, avevano dato il nome di uomini, e dalla casa, infine, giungeva un caos eterogeneo e quasi indistinto di suoni – a volte cupi, a volte stridenti, raramente dolci – dai quali lei, la talpa, aveva sempre desiderato fuggire in fretta. La pace e la bellezza che percepiva intorno a sé, tuttavia, anziché rallegrarla, la precipitarono nell’inquietudine. “Che cosa è accaduto?”, si domandò. E dopo parecchi minuti di incertezza, non riuscendo a darsi una risposta, uscì completamente all’aperto e richiamò l’attenzione degli altri animali che abitavano il giardino.
 
- Voi sapete che cosa stia accadendo? - s’informò, squittendo.
- Sembra che gli uomini siano scomparsi – stridette la cicala.
- Morti? - chiese la talpa.
- I corvi e i vermi dicono che ne sono morti molti, ma non tutti – intervenne il grillo.
- E gli altri?
- Eh, cara talpa – s’intromise un passerotto - sembra, almeno così hanno ammesso i cani e i gatti domestici, che come sai non sono molto inclini a raccontarci i loro fatti, che gli uomini siano tutti rintanati nelle loro case per tentare di sfuggire a un virus.
- E che cosa sarebbe un virus? - insistette la talpa.
- Un essere invisibile che provoca una malattia grave – spiegò una formica che, frequentando abitualmente la dispensa della villetta, aveva raccolto informazioni, e non senza fatica, dal bassotto di casa. - Quando il virus li aggredisce, li costringe a letto senza forze e molte volte li uccide. Pare che per difendersi non debbano stare vicini l’uno all’altro. Noi ce ne siamo resi conto da pochi giorni, ma questa storia va avanti da almeno due settimane.
- E dunque – considerò la talpa, – sulla terra gli uomini sono come scomparsi.
 
Gli altri animali annuirono.
- Beh, è così? - s’inalberò la talpa, dal momento che essendo cieca non aveva capito la risposta.
- È così – confermò il merlo.
- E fuori dal giardino come vanno le cose? - chiese ancora la talpa.
I suoi interlocutori le spiegarono che gli animali e la vegetazione avevano riconquistato molti spazi vitali dai quali, quando gli uomini svolgevano le loro attività abituali, si erano dovuti ritirare. La talpa apprese, ad esempio, che i lontanissimi gabbiani avevano informato altri uccelli che nel mare, scomparse quasi del tutto le navi e le barche, i pesci e i delfini avevano potuto tornare a frequentare il sottocosta e che l’acqua stava pian piano tornando ad essere trasparente. E gli uccelli, adesso, dovevano contrastare solo la forza delle correnti prodotte dal vento e non quelle, praticamente inaffrontabili, create dal passaggio degli aerei. E apprese che gli animali del bosco ora potevano pascolare nei prati delle pianure e delle colline senza alcun pericolo per la loro vita. E che i fiori, finalmente, potevano crescere anche lungo le strade.
- Dunque siamo di nuovi liberi – commentò la talpa.
- Sì, siamo di nuovo liberi – le fecero eco, in coro e festanti, gli altri animali del giardino.
 
Pochi giorni dopo, tuttavia, la gioiosa eccitazione per la libertà dimostrata alla fine di quella conversazione si affievolì, aprendo una fase di gran discussione. A mutare lo stato d’animo degli abitanti del giardino erano state le voci che giungevano da oltre il muro. Si affermava, con sempre maggiore insistenza, che presto ci sarebbe stata un’assemblea generale degli animali, necessaria per fermare l’anarchia ormai dilagante. Molte prede, infatti, si lamentavano del comportamento inconsulto e inaccettabile dei predatori che, ormai certi con la scomparsa degli uomini di non essere essi stessi preda, razziavano e uccidevano i loro simili anche senza essere in stato di necessità di farlo. Razziavano e uccidevano, ormai, per il solo gusto di farlo. I leoni con le gazzelle e le zebre, gli uccelli con i pesci, gli insetti e i vermi, i pesci grandi con i piccoli. E il mondo vegetale si lamentava che gli erbivori strappavano foglie anche quando avevano la pancia piena, così, per divertirsi, e distruggevano chilometri di pascoli per il gusto, del tutto stupido e arbitrario, di correre a perdifiato. Dunque, avevano suggerito i più intelligenti tra gli animali, bisognava darsi delle regole che ciascuno di loro avrebbe dovuto rispettare per il bene di tutti. E le regole, ovviamente, sarebbero state stabilite nella grande assemblea ormai prossima.
 
- Se ben ricordo i racconti di mia nonna – disse la talpa, - qualcosa del genere è già accaduto in passato.
- Già, e le cose non finirono bene – commentò il merlo con amarezza.
- È vero, ma di sicuro abbiamo capito la lezione; e poi i tempi sono cambiati – osservò l’ape, con il suo solito fare pungente.
Convennero tutti, anche il merlo, che in effetti la storia lascia in eredità insegnamenti preziosi e che il trascorrere del tempo muta molte cose. La conclusione a cui addivenne l’assemblea generale, tuttavia, dette molto da pensare agli animali del giardino. Le regole introdotte sapevano di stantio: tutti gli animali sono uguali e nessuno può spadroneggiare sugli altri. Si aggiungeva, e questa era una novità positiva rispetto alla passata esperienza di autogoverno che poi era stata cancellata dal ritorno della supremazia dell’uomo, che nessuno poteva arrecare danno all’ambiente in cui vivevano, per preservare al meglio le scorte alimentari e gli spazi di svago. Ma con il terzo punto, invece, si precipitava di nuovo nel già vissuto. Ed era, almeno a loro giudizio, un fatto inquietante. Alla presidenza del comitato di governo, infatti, era stato eletto un maiale. E sapevano tutti, com’era finito il precedente esperimento di governo retto dai maiali.
 
- Bisogna essere fiduciosi – azzardò la talpa emettendo un sospiro. - La lezione del passato non ci farà di sicuro ripetere gli errori che commisero i nostri avi.
- Sì, dobbiamo essere fiduciosi – risposero in coro gli altri abitanti del giardino.
All’approssimarsi dell’autunno, invece, le cose avevano preso una china pericolosa e la talpa e gli altri abitanti del giardino avvertirono con chiarezza che l’abbraccio della fiducia cui si erano completamente affidati non era più molto rassicurante.
Ecco cosa era accaduto. Nel corso dei mesi, il maiale presidente mal aveva tollerato le pungolature, i distinguo e le osservazioni dei ministri cavallo, aquila e squalo circa le disposizioni da emanare per migliorare la convivenza sociale e la definizione dei controlli da mettere in campo per il rispetto delle regole. E dopo i primi, infruttuosi tentativi di imporre il suo pensiero, con provvedimenti cavillosi che il più limitato ingegno dei ministri non aveva saputo contrastare, il maiale aveva assunto i pieni poteri e, con l’aiuto dei suoi consimili, aveva instaurato un regime dispotico. I maiali da soli, a dire il vero, per quanto in numero abnorme rispetto alle leggi della catena alimentare naturale, ai quali si doveva affiancare un numero esagerato di cinghiali di razza impura, non avrebbero avuto la forza di dominare sull’intero regno animale. Con modi astuti e cervellotici, tuttavia, si erano guadagnati la fiducia cieca di altri animali, per la grandissima parte appartenenti a quelle specie che erano preda di altre più forti di loro, riuscendo così nell’impresa di soggiogare alle loro leggi gli animali di terra, cielo e acqua.
 
Tutti gli altri animali se ne erano lamentati, ma non essendo riusciti a trovare soluzioni e prospettive condivise per realizzare un’alternativa allo stato delle cose, avevano dovuto ingoiare il boccone amaro e rassegnarsi a sottostare alla tirannia. E tuttora dovevano obbedire, se non volevano finire imprigionati o essere dati in pasto a belve affamate. Le retate e le rappresaglie, del resto, non si contavano più e andavano ancora aumentando. In prossimità dell’autunno, dunque, molti fra gli animali sottomessi al giogo dei maiali (in pochi osando esprimerlo sottovoce, la maggior parte solo formulandolo nel loro pensiero, ma con ciò non disdegnando di annuire ai sussurri dei più coraggiosi) cominciarono a desiderare il ritorno sulla scena degli uomini. Non perché quando gli umani erano i padroni del mondo, per gli animali la vita fosse facile. Tutt’altro: avevano dovuto sopravvivere in spazi ristretti, sfuggire i colpi di fucile dei cacciatori, aggirare le reti dei pescatori, sottostare alla distruzione della natura in cui avrebbero potuto ricavare del cibo in più, sopportare la puzza irrespirabile e irritante che ammorbava l’aria, bere l’acqua che sapeva di acido e sporcizia. E tuttavia, pur con tante limitazioni e tanti disagi, erano, in qualche modo, liberi.
 
Ai propugnatori di quell’idea di ritorno al passato faceva da contraltare il partito degli scettici. Ad animarlo con una certa veemenza, erano alcuni cani domestici che nel frattempo, col miraggio di sperimentare la sensazione di una completa libertà, si erano staccati dalle famiglie umane, dove fino ad allora avevano vissuto, per unirsi alla grande nazione degli animali.
- Auspicare il ritorno degli uomini potrebbe rivelarsi una cattiva idea – avvertì un pastore tedesco, un po’ spelacchiato, dall’alto della sua età veneranda.
- Beh, quando controllavano il mondo, non erano poi peggiori dei maiali – lo rimbeccò una cornacchia.
- Questo devo ammetterlo. Ma sono subdoli, tiranneggiano fingendo, e riescono persino a farlo credere, d’essere democratici – soggiunse il vecchio pastore tedesco mentre gli altri cani annuivano; e annuirono anche alcuni gatti, anch’essi distaccatisi dal focolare domestico, dove avevano ronfato per lungo tempo a loro piacimento.
- Beh, proprio voi cani non dovreste sputare nel piatto dove avete a lungo mangiato senza mai aver dovuto spremere una goccia di sudore dal corpo per guadagnarvelo – s’inalberò un gallo.
- Non è mai stato gratis il cibo che ci hanno dato – li gelò il vecchio cane. - Gli uomini ci rimpinzavano e ci vezzeggiavano finché ritenevano che facessimo loro un’adeguata compagnia, o che fossimo dei mansueti compagni di gioco, oppure fedeli guardiani delle loro proprietà private. Ma nel momento in cui ci ritenessero ormai incapaci di svolgere quei compiti, o si rendessero conto che eravamo un impiccio anziché il divertente gioco che avevano creduto di acquistare accogliendoci nelle loro famiglie, in troppi di loro non si sono fatti scrupoli di abbandonarci a noi stessi, condannandoci o alla vita del randagio, o a quella del prigioniero in un canile.
 
Pareva a tutti un ragionamento logico e sensato, e tuttavia quell’avvertimento non riusciva ad attecchire. Accecati dal dramma della tirannia imposta dai maiali, pur con i loro molti difetti, gli uomini, ai più degli animali, parevano infatti rappresentare la via d’uscita più ragionevole, allo scopo di tornare ad essere, anche se con innumerevoli limitazioni, liberi.  Quel vagheggiamento non tardò molto ad avverarsi. Pochi giorni dopo quella conversazione i cani liberi, grazie al collegamento stretto con i loro simili rimasti presso le famiglie d’adozione e in anticipo rispetto agli altri animali, appresero che gli uomini stavano per abbandonare le case dentro alle quali avevano vissuto asserragliati durante gli ultimi mesi. Il virus che li aveva costretti alla prigionia, avevano riferito ancora i cani domestici, pareva si fosse dissolto e, dunque, gli uomini non avevano più motivo di temerlo; potevano ritornare a calpestare le strade e i prati del mondo. E così accadde: gli uomini riapparvero sulla terra. E gli animali che avevano auspicato il realizzarsi di quel momento, si convinsero della bontà dei loro ragionamenti. Gli uomini, infatti, dopo un insolito periodo durante il quale s’erano preoccupati essenzialmente di ridere, cantare e ballare, ripresero il controllo della situazione, rinchiudendo i maiali – ma anche le mucche e le galline e tutti gli altri animali che essi prima allevavano per scopi alimentari – in recinti e stalle. Per il resto, il rumore proveniente dalle strade era aumentato, sì, ma non raggiungeva i picchi di prima dello scoppio del virus; e l’aria era un po’ pesante ma non ammorbata come in passato.
 
- Avevamo ragione – disse la talpa agli altri animali che abitavano il giardino; - gli uomini sono tornati, ma non sono cattivi come lo erano prima che il virus li costringesse all’isolamento. Gli animali possono ancora scorrazzare liberi nei prati, i pesci possono nuotare a loro piacimento sottocosta e ognuno di noi è libero di fare quel che gli pare. Nulla sarà come prima, vedrete.
- Sì, credo che gli uomini abbiano imparato la lezione – la sostenne il merlo. - Cercheranno di vivere più in sintonia con la natura. Ci rispetteranno di più, d’ora in poi.
- E perché dovrebbe accadere? - domandò, in tono assai scettico, il bassotto che, nei mesi precedenti, era fuggito dalle stanze della villetta.
- Beh, la natura gli si è rivoltata contro – replicò il passerotto. - Un essere tanto piccolo da essere invisibile li ha fatti ammalare, li ha uccisi, li ha costretti in prigione, tenendoli lontani gli uni dagli altri. Non sono stati in grado di contrastarlo e sono tornati liberi solo quando il virus è scomparso. Sì, gli uomini saranno meno cattivi che in passato. La talpa ha ragione.
 
All’inizio dell’inverno, invece, a tutti fu chiaro che la talpa aveva avuto torto. Gli uomini erano tornati ad essere, né più né meno, quelli di prima. Avevano ripreso a cacciare e pescare in maniera indiscriminata, avevano occupato di nuovo i prati e le colline con le loro venefiche attività agricole, avevano fatto scomparire porzioni di terreno con nuove costruzioni, avevano riavviato le fabbriche da cui, di nuovo, fuoriuscivano fumi pestilenziali e scarichi che toglievano respiro all’acqua, e il rumore che saliva dalle strade era tornato a essere assordante.
- Gli uomini, come noi animali, non hanno imparato un bel niente dalle lezioni del passato – sussurrò tra sé, con amarezza, il merlo zampettando sul ramo più alto dell’ulivo. - Noi abbiamo reimposto la dittatura e loro il caos. - E il suo pensiero volò alla talpa, che in quel momento dormiva e sognava tranquilla nel fondo di chissà quale galleria. E quasi piagnucolò: - Non lo sa che la prossima primavera scoprirà che il mondo non ha voluto cambiare.
 
Il racconto rientra nell'iniziativa di Toscanalibri.it "Racconti di scrittori toscani per i giorni del Coronavirus".
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Luca Martinelli

Luca Martinelli

Nato a Siena nel 1964, vive a Prato dall’età di quattro anni. Prima cronista sindacale e politico per diverse testate, poi direttore di un settimanale economico locale, oggi lavora in un ufficio stampa istituzionale. A trent’anni la riscoperta di Sherlock Holmes: la particolarità del personaggi, una concezione del mondo e della vita, l’epoca storica in cui si svolgono i fatti lo affascinano al punto che, quando incontra “Uno studio in Holmes”, l’associazione degli scherlockiani italiani, non può che lasciarsi coinvolgere. Sulla rivista dell’associazione, “The Strand Magazine”, di cui oggi è direttore responsabile, ha pubblicato quattro racconti. Il palio di Sherlock Holmes è il suo primo romanzo.

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