La Crusca boccia l’uso della schwa. Robustelli: “Rende impossibile o confusionaria la comunicazione”

Firenze il 01/12/2021 - Redazione
"L'italiano si può rendere più inclusivo, ma le proposte per farlo devono rispettare le regole del sistema lingua, altrimenti la comunicazione non si realizza e la lingua non funziona". È netta la posizione di Cecilia Robustelli, ordinaria di Linguistica italiana all'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia che da anni lavora con l'Accademia della Crusca, sulla questione 'schwa', la piccola 'e' rovesciata (?) che alcuni vorrebbero aggiungere o sostituire alle desinenze italiane per includere in un colpo solo tutti i sessi e le identità di genere. La ragione della contrarietà è anzitutto tecnica ("Parlo da linguista, non da filosofa o sociologa", premette la professoressa) e ha a che fare con il rischio di sostituire con un simbolo il genere grammaticale.
 
Se si eliminano desinenze testo diventa mucchietto di parole - In un'intervista all’Agenzia Dire, la professoressa ha spiegato perché: "La funzione primaria del genere grammaticale in un testo è permettere di riconoscere tutto ciò che riferisce al referente, cioè all'essere cui ci riferiamo, attraverso l'accordo grammaticale. Se si eliminano le desinenze scompaiono tutti i collegamenti morfologici e il testo diventa un mucchietto di parole delle quali non si capisce più la relazione". Per i sostenitori della 'schwa', però, il genere grammaticale avrebbe il difetto di dare visibilità ai due soli generi maschile e femminile, ignorando il variegato mondo di coloro che non si identificano in uno dei due: "Ma il genere grammaticale - dice in proposito Robustelli - viene assegnato ai termini che si riferiscono agli esseri umani in base al sesso. Il genere 'socioculturale', cioè la costruzione, la percezione sociale di ciò che comporta l'appartenenza sessuale, rappresenta un passaggio successivo". Invece, l'impressione è che "il termine 'genere' venga spesso usato con il significato di 'sesso' e questa confusione complica il ragionamento, già di per sé complesso". Una confusione a monte che le varie definizioni di 'Italiano inclusivo' reperibili in rete non aiutano a districare.
 
Non affidare alla grammatica il compito di comunicare nuovi generi - Tornando alla confusione che creerebbe l'introduzione di un simbolo estraneo alla lingua in un testo in sostituzione delle desinenze, la professoressa ha ribadito che così "si eliminano gli accordi tra le parole e si mina l'intera coesione testuale: e questo è un fatto grave". Invece "quando si cambia qualcosa in una lingua ci si deve innanzitutto chiedere se quel cambiamento funziona per assolvere allo scopo che un sistema linguistico deve compiere, cioè la comunicazione".  Non è una sentenza, quella di Robustelli, piuttosto la constatazione che "spesso le proposte ingenue sono animata da buone intenzioni ma irrealizzabile nella realtà della lingua italiana. Piuttosto di affidare alla grammatica il compito irrealizzabile di comunicare nuovi generi o la decisione di non accettarli- propone la linguista- perché non intensificare la discussione sul loro significato e approfondire le ragioni che ne motivano la richiesta di riconoscimento sociale? E' il discorso il luogo adatto a questo scopo, non la grammatica".
 
Simbolo al posto delle desinenze impedisce riconoscimento del femminile, posizione da linguista non da femminista - Per Robustelli l'introduzione di un simbolo al posto delle desinenze avrebbe anche la conseguenza di impedire il riconoscimento della presenza femminile nella società, quando è invece "fondamentale nella lingua italiana nominare donne e uomini con termini maschili e femminili e usare al femminile anche i termini che indicano ruoli istituzionali e professionali di genere femminile se sono riferiti a donne". Questa, ha precisato Robustelli, che di questa tematica si occupa da tempo, "non è soltanto una posizione femminista: è una posizione da linguista, perché se non si attribuisce alle donne il titolo femminile, si trasgredisce ai principi di accordo e assegnazione di genere che invece permettono di riconoscere, disambiguare e anche valorizzare le donne, dando inoltre un'immagine della realtà conforme a quella che è ora, non 50 anni fa". Se si usano per le donne termini maschili, si usa un italiano in modo scorretto e proprio per questo "non è opportuno né permesso chiedere alla persona con cui si parla come vuole essere chiamata. Se è donna- incalza la professoressa- è ministra, avvocata, direttrice di orchestra". E se qualcuna dice di voler essere chiamata al maschile? "La risposta deve essere 'no'- conclude la professoressa Robustelli- Non lo chiedo io ma la lingua italiana. A nessuna persona si può chiedere di contravvenire alle regole della sua lingua e di esprimersi in modo non chiaro. Specialmente in campo istituzionale".
 
Come cambia una lingua? - Non è vero che la lingua è creativa e può, anzi deve, cambiare? "Certo- ci ha risposto Robustelli - e infatti la lingua cambia ogni giorno, ma impercettibilmente e in un preciso settore: quello lessicale, attraverso l'ingresso di nuove parole che cambiano, muoiono, entrano sulla spinta dei mutamenti culturali, sociali, tecnologici, basti controllare i neologismi che entrano ogni anno nei dizionari e le parole che diventano rare, desuete. Ma non cambia, o molto lentamente, per quanto riguarda la morfologia, la sintassi. Ad esempio, per rimanere in tema- ha concluso la professoressa- nel lunghissimo passaggio dal latino all'italiano il genere grammaticale neutro piano piano se ne è andato, il sistema dei casi latini è scomparso, la funzione di soggetto e oggetto non è stata più determinata dalla desinenza ma dalla posizione rispetto al verbo, eccetera. Ma tutto questo ha richiesto secoli".

Fonte Agenzia DIRE

 
 
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